FOG di Mind the step sul palco del Piccolo Bellini di Napoli. Recensione
Sarà in scena fino al 20 marzo FOG, lo spettacolo che ha debuttato martedì 8 marzo al Piccolo Bellini di Napoli di Francesco Ferrara per la regia di Salvatore Cutrì.
Il lavoro è il frutto di una virtuosa collaborazione nata in seno alla Factory dello stesso Bellini, la scuola di formazione per registi, attori e drammaturghi che ha formato tutti i componenti di questo gruppo che porta il nome di Mind the step fondato e composto principalmente dai due autori: Francesco Ferrara e Salvatore Cutrì.
Il gruppo ha uno sguardo diretto alle nuove generazioni con uno stile minimalista, serio ma allo stesso tempo ironico e talvolta cinico. i due hanno consolidato una proficua collaborazione con Chiara Celotto, Claudia d’Avanzo, Simone Mazzella, Manuel Severino e Salvatore Scotto d’Apollonia, collettivo che ha dato vita a Fog, accompagnato dall’occhio vigile della comunità del Premio Scenario di cui sono stati finalisti nel 2019.
FOG parte da una domanda: che rapporto c’è oggi tra sesso e tecnologia? e questa domanda a sua volta prende spunto da un fatto di cronaca liberamente interpretato per cercare di trovare una risposta e per raccontare un disagio generazionale.
Il contesto è quello quotidiano di un gruppo di studenti ciascuno con i propri limiti e problemi per mostrare l’incapacità di questi di comunicare davvero tra loro, al punto da servirsi sempre del filtro di internet per sentirsi vivi.
Tania e Karla si conoscono un venerdì mattina nel bagno della scuola. Parlano a lungo, sono molto diverse eppure si trovano d’accordo su tutto. Si danno appuntamento per la sera al centro commerciale e lì incontrano Paco, un ragazzo del quinto anno che gli propone di continuare la serata a casa sua. Tania vorrebbe evitare, ma Karla accetta e la trascina con sé. I tre ragazzi non si conoscono bene, all’inizio sono un po’ imbarazzati.
Per smuovere le cose decidono di avviare una diretta streaming. È una cosa che fanno spesso, non c’è nulla di strano. Per loro non è strano neanche baciarsi o spogliarsi davanti a una videocamera, tutto è un gioco.
In scena ci sono Claudia D’Avanzo, Simone Mazzella, Alessia Santalucia, Manuel Severino, quest’ultimo interpreta un utente non meglio identificato ma contestualizzato molto bene, che assiste alla diretta incitando i protagonisti a fare delle cose e tutto ciò per distrarsi dal peso di essere se stesso.
La messa in scena inizia in un clima molto leggero e quasi conviviale, gli attori entrano e si rivolgono a turno alla platea spiegando la loro funzione e chi andranno a interpretare. Poi lo spettacolo o forse sarebbe meglio dire il gioco, comincia e si entra nella situazione.
Ogni attore/personaggio nel presentarsi racconta subito il suo problema, un problema come la bulimia o gli attacchi di panico diventano il punto di partenza per raccontare una backstory.
Non che questi fattori giustifichino le azioni che di lì a poco i personaggi andranno a compiere ma senz’altro rendono il tutto tridimensionale.
La scelta azzeccata secondo me è stata proprio quella di non mostrare mai un cellulare o altro device che rimandasse inevitabilmente al nostro contemporaneo.
È evidente che siamo in un contesto attuale ma l’assenza di questi oggetti rende paradossalmente più vera e universale la storia di FOG.
Un fatto simile può accadere in qualsiasi luogo e tempo del mondo e gli elementi fondamentali per entrare nella storia e viverla fino al mal di stomaco che inevitabilmente arriva alla fine, sono tutti nei personaggi.
Il finale infatti è l’opposto dell’inizio ed è di fatto un pugno nello stomaco, il momento in cui la situazione precipita e tutto procede rapido verso qualcosa che abbiamo visto e sentito tante volte e in tante forme: violenza.
Una violenza amplificata nei gesti, nelle parole e nelle azioni, proprio da internet che con la sua rapida diffusione di contenuti potrebbe distruggere l’intero pianeta e forse lo sta già facendo.
Cosa vuole dire uno spettacolo come FOG al pubblico? Quanto siamo schiavi del digitale? Quanto abbiamo bisogno di mostrarci sempre di più per essere accettati o adorati? Quanto siamo annoiati?
Quanto abbiamo bisogno di esporci per ricordarci che siamo vivi?
Non intendo dare alcuna risposta a queste domande perché ciascuno di noi può trovare diversi motivi e tutti potrebbero essere validi. Il punto è che uno spettacolo come questo serve proprio ad accendere la luce su una questione e portarci alla riflessione.
L’interpretazione degli attori in scena è minimalista, ossia lavorano tutti sul semplice, sono colloquiali, quotidiani, aderenti al linguaggio attuale. La regia e gli stessi attori hanno giocato su equilibri che potevano essere persi in un attimo, invece riescono a creare qualcosa di solido.
Si procede con un ritmo sempre più incalzante fino alla fine anche se l’unico elemento negativo che mi sento di sottolineare è proprio nel finale che mi è sembrato incompleto.
Viene accennata una pennellata di quanto accadrà o potenzialmente potrebbe accadere in seguito al “fattaccio”, ma tutto rimane sospeso.
A mio modesto parere al posto degli autori avrei osato di più, se mi spingo fino a un certo punto ho quasi l’obbligo morale di andare ancora più a fondo e sporcarmi ulteriormente.
Intendiamoci Fog è un lavoro completo che intrattiene e fa riflettere ma proprio nel momento più drammatico si può secondo me spingere l’acceleratore.
Da quel momento si aprono svariate possibilità per il destino di quei personaggi, scritti bene e di cui vorrei sapere ancora.
Magari li ritroveremo più grandi, in un’altra storia o forse no, quello che è sicuro è che Fog racconta qualcosa di interessante con personaggi interessanti, realizzato da artisti che hanno dimostrato l’interesse a crescere e migliorarsi. Pertanto spero in futuro di vedere un’evoluzione del talento e della sostanza che ho visto in questa occasione.
INFO:
FOG
Orari spettacoli: feriali h. 20:45, mercoledì 9 marzo h. 18:00, domeniche h. 18:30, sabato 19 marzo h. 18:00
Prezzi: intero € 20, ridotto € 18, Under29 € 15
Durata: 60 min.