Per quanto assurdo possa sembrare, e per quanto possiamo resistere, l’universo continua ad insistere che gli anni ’90 sono stati 30 anni fa invece di 10 minuti fa. Così, ci troviamo sempre più spesso di fronte a drammi che prendono i titoli dei giornali della nostra gioventù e li esaminano come i momenti cruciali della storia, quali, in effetti, sono stati.
Almeno non sono (ancora) abbastanza datati da essere trattati con riverenza o mistificazione. Noi bambini degli anni ’80 non siamo ancora come il Colosseo o le rovine di Ercolano, ma lo spirito vivacemente interrogativo del re del genere, Ryan Murphy (che ha drammatizzato il caso OJ Simpson, l’uccisione di Gianni Versace e l’affare Clinton-Lewinsky) continua a dettare il ritmo per quelli che seguono il suo esempio.
Pam & Tommy, la serie tv uscita su Disney+ nella sezione Star, adattato dall’articolo di Amanda Chicago Lewis, analizza lo scandalo del sex tape che ha travolto la coppia di celebrità della metà degli anni 90. La star di Baywatch e sex symbol internazionale (per dare quello che allora era il suo titolo ufficiale completo), Pamela Anderson, e il batterista dei Mötley Crüe, Tommy Lee, erano diventati ancora più famosi della somma dei due messi insieme, sposandosi quattro giorni dopo essersi conosciuti.
La miniserie in otto parti di Robert Siegel esamina ciò che è successo alla coppia dopo che un nastro privato e molto scottante in luna di miele è diventato (per la prima volta grazie al potere dell’allora nascente internet) molto, molto pubblico.
La serie Pam & Tommy è stata realizzata con tre narrazioni distinte che si intrecciano. La prima – a cui è dedicato l’episodio di apertura, anche se vi si ritorna per tutto il tempo – è una rapina, vera anche nei suoi dettagli più incredibili. Rand Gauthier (Seth Rogen) è un appaltatore licenziato, non pagato, dal capriccioso Lee per un lavoro presumibilmente scadente.
L’uomo si vendica rubando la cassaforte dal garage della rock star. Elude le guardie di sicurezza e le telecamere usando un tappeto peloso per camuffarsi da grosso cane. All’interno della cassaforte trova varie armi, contanti e una videocassetta Hi8 non contrassegnata, che porta al suo amico, un regista porno interpretato da Nick Offerman. “Cerchi lavoro?”, chiede a Rand, quando vedono cosa c’è dentro, il palcoscenico è pronto.
È un’apertura divertente – per così dire – ma non mette in mostra quello che diventerà un dramma appassionante, divertente, intelligente e piuttosto commovente, con performance sorprendenti di Lily James come Anderson e Sebastian Stan come Lee.
Ognuno di loro raggiunge l’impresa di assomigliare in modo incredibile – esteticamente, vocalmente e in ogni manierismo – alle persone reali, senza scendere nella mimica.
La serie si muove avanti e indietro nel tempo mentre la seconda e la terza trama entrano in gioco. C’è la storia d’amore – non convenzionale come tutte le altre, certo, ma che mostra ciò che la coppia ha trovato l’uno nell’altra (oltre, sì, l’ovvio), e come, anche se una separazione era probabilmente inevitabile, la loro relazione è stata messa sotto una pressione senza precedenti quando il nastro è diventato pubblico.
Il terzo filone è quello che virtualmente definisce il genere: una critica delle macchinazioni dei media, dell’appetito pubblico e dei pregiudizi legali sistematici in quel particolare momento, che hanno permesso agli eventi di svolgersi come hanno fatto. E, come sempre, possiamo vedere la misoginia che ha infuso tutto, facendo sì che la Anderson sopportasse il peso dell’umiliazione e del danno a se stessa e alla sua carriera.
C’è una scena particolarmente brutale in cui viene citata da un avvocato che sembra volerla umiliare il più possibile. Ma troviamo anche tutta una rete di momenti apparentemente secondari, come sul set di Baywatch, durante le apparizioni personali, nei suoi servizi per Playboy, in cui si capisce quanto la donna si sia trovata è al servizio degli uomini al comando.
La visione dell’immagine anni ’90 della Anderson e lo scandalo con tutto quello che ne consegue, vengono ripensati in linea con i gusti più moderni e luminosi (per quanto siano ancora imperfetti) e questo è positivo. Il problema è però che l’intero progetto è stato intrapreso senza la sua approvazione.
Ironicamente, è proprio il suo sguardo attento e la sua compassione che – supponendo abbia almeno visto la sceneggiatura o che le sia stata data un’idea del testo – ti fa pensare a quanto avrebbe voluto, qualunque fosse stata la sua versione, che l’intero argomento fosse stato lasciato in pace. Un capitolo chiuso, ma lei e Pamela Anderson e tutti ne vogliono un pezzettino, a discapito di quello che vuole lei.
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