La ferrovia sotterranea, il razzismo spiegato in una serie Tv. Recensione
La ferrovia sotterranea è la mini serie in dieci episodi disponibile su Amazon Prime Video, ma sarebbe più corretto dire film lungo dieci ore, diretta da Barry Jenkins, il regista di Moonlight, tratta dal romanzo omonimo di Colson Whitehead, uscito nel 2016 che ha avuto una grande fortuna in America, diversamente dal mercato italiano dove è passato in sordina, tanto da essere sconosciuto ai più. Il libro ha vinto diversi premi compreso il Pulitzer per la narrativa. Tra i produttori della serie c’è anche Brad Pitt.
Personaggio principale della storia è Cora (Thuso Mbedu), una giovane schiava nata in una piantagione della Georgia e rimasta sola ed emarginata da quando la madre è riuscita a fuggire senza di lei. Cora inizialmente non vuole fuggire, forse per mancanza di coraggio, malgrado le insistenze di Caesar, suo amico di sventura che freme dalla voglia di fuggire e portarla via con sé.
La spinta arriva dall’ennesima punizione sadica inflitta dai suoi padroni nei confronti di un altro schiavo fuggito e catturato. L’evento è talmente tragico e traumatico (la serie non risparmia immagini pesanti e molto forti che raccontano con estrema crudezza la violenza e il razzismo sui neri) da decidere di fuggire con Caesar attraverso la ferrovia sotterranea.
Da questo momento la storia si divide in capitoli, proprio come in un libro e la narrazione procede per luoghi ed è piuttosto lineare anche se siamo di fronte a un passato ucronico con diverse licenze storiche che però danno un’idea molto chiara di che cosa sia stato e di cos’è il razzismo.
Quello di Cora è un viaggio verso la libertà in forma di Odissea alla ricerca di una casa che in questo caso non sappiamo bene dove si trova, quello che è certo è che occorre andare negli stati del Nord dove la schiavitù è stata abolita.
Nel corso del suo peregrinare, Cora si trova di fronte a diverse forme di razzismo, schiavitù e segregazione. Sulle sue tracce, c’è il cacciatore di schiavi Ridgeway (Joel Edgerton) e il suo “assistente” Homer (Chase W. Dillon). Ridgeway riversa su Cora tutta la sua frustrazione per non essere riuscito a catturare la madre della ragazza, l’unica nera che non è mai riuscito a catturare.
Anche la ferrovia sotterranea fa parte delle licenze storiche che si è preso l’autore poiché non esisteva una ferrovia sotterranea che conduceva i neri da un luogo all’altro. I binari del treno sono una metafora della rete di collegamenti, aiuti, cunicoli, comunicazioni segrete e molto altro che permise effettivamente ad alcuni schiavi di fuggire.
La serie è stata premiata agli ultimi Golden Globes come miglior mini serie tv e dal punto di vista stilistico è come un piccolo gioiellino, un’opera d’arte per certi versi, perché la fotografia, la fluidità delle immagini, la presenza di colori così accesi avrebbe reso assai meglio sul grande schermo.
Per giunta l’interpretazione magistrale di ciascuno degli attori coinvolti rende interessante anche il più secondario fra i personaggi secondari.
Per non parlare poi del personaggio di Ridgeway, un antagonista tutto umano di cui non si può fare a meno di apprezzare certe caratteristiche.
Ciò che rende originale e universale questa storia, inoltre, è il fatto che questa persecuzione dei neri in una pagina della storia americana, per le modalità di narrazione, per gli eventi narrati, per i tentativi di fuga e per i personaggi bianchi che aiutano le vittime di colore, potrebbe essere traslata negli anni quaranta durante la Seconda Guerra Mondiale e vi troveremmo molte somiglianze con tante storie di persecuzione degli ebrei con deportazioni e torture.
Il tratto distintivo di La ferrovia sotterranea è l’ambientazione molto onirica in cui siamo immersi insieme ai personaggi e come spettatori non siamo mai davvero sicuri cosa stia accadendo davvero e cosa no. L’uso del tempo con gli episodi potremmo dire auto conclusivi in cui sembra non esserci un legame tra le cose pone tutta la storia in una sorta di flusso di coscienza, quelli di Cora probabilmente che mescola realtà e finzione.
Il tempo passa dall’inizio alla fine del suo peregrinare ma non sappiamo mai quanti mesi o anni sono passati.
Questo è sicuramente l’elemento della serie che ci tiene incollati allo schermo.
Che ne sarà di Cora? La sua costante fuga si arresterà? Ma tra tutte le domande, quella più importante che ci poniamo è se alla resa dei conti Cora si troverà ancora una volta faccia a faccia con il suo problema più grande, sua madre.