Tick Tick…Boom! un omaggio alla straordinaria, seppur breve, vita del regista teatrale Larson. Recensione
Netflix ha concluso il 2021 con un grande numero di titoli di successo, tra questi figura il commovente musical Tick Tick…Boom!. Il film diretto da Lin – Manuel Miranda è l’adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo teatrale ideato interamente dal geniale e compianto Jonathan Larson.
Il musical è un racconto autobiografico all’interno del quale si narrano le ordinarie e, insieme, incredibili vicende della vita del giovane regista teatrale Larson. Tick Tick…Boom! combina perfettamente la narrazione della vita di Larson con spezzoni del musical stesso, seguendo un montaggio che alterna rispettivamente i due diversi momenti e li combina con frammenti di home video fittizi.
Il film è un omaggio alla straordinaria, seppur breve, vita del regista, spingendo il protagonista stesso a raccontare le più profonde inquietudini della sua anima. La sua è una storia tanto unica, quanto universale: il tempo che passa, il dislivello che caratterizza la vita degli artisti tra ciò che vogliono essere e ciò che raggiungono, le difficoltà di conciliare privato e ambizioni, sono solo alcuni dei temi più importanti del film.
L’ecclettico Larson, sulla soglia dei trent’anni, sente le lancette dell’orologio avanzare e che il tempo a disposizione per poter sbarcare il lunario a Broadway diminuisce inesorabilmente. Da ormai otto anni sta lavorando ad un ambizioso progetto, Superbia, ma è frenato dalle pressioni esterne e dalle difficoltà personali di creare la canzone cardine dello show.
Jonathan vive in un appartamento squattrinato di New York, circondato da amici bohemien come lui e da altri più realistici, lavora in un diner per poter pagare le bollette che puntualmente non paga. Eppure, ha una fiamma che arde dentro di lui, una passione che lo motiva a non mollare nonostante tutte le avversità, la scintilla più forte di ogni altra emozione: la creatività.
Dalla sua Larson, nonostante l’incostanza, possiede un’incredibile capacità di creare musiche e scrivere testi dal nulla, partendo dal dettaglio più insignificante, con lo scopo di rendere lo stesso, il protagonista assoluto di una bellissima canzone.
Nel percorso di realizzazione di Superbia, Jonathan si scontra molteplici volte con la realtà che lo costringe a ridimensionare quelle aspirazioni idealistiche tipiche della sua personalità. La donna che ama, Susan, ballerina di danza moderna, riceve una proposta di lavoro lontano da New York, dove può riuscire a fare ciò che ama, danzare, e, contemporaneamente, avere uno stipendio fisso.
Il suo più caro amico, Mark, ha abbandonato i sogni di gloria per un’occupazione sicura nel marketing, per il denaro ed una casa vivibile, e intanto il resto della combriccola si confronta con un futuro incerto segnato, per alcuni di loro, dall’AIDS.
Jonathan prosegue perseverante la sua strada verso la conquista del successo, non facendosi influenzare dai consigli pragmatici di Mark quando lo invita a guardare in faccia la realtà ed iniziare a lavorare sul serio.
Il ragazzo prova ad assecondare le indicazioni dei suoi compagni e della sua ragazza ma fatica a ridimensionare la sua estrosa personalità e consapevole dell’impossibilità di incasellare le sue idee, abbandona la possibilità di una professione da ufficio e puntare a ciò per cui è realmente predisposto.
Tale perseveranza e necessità di concentrarsi sulla sua opera, su quell’unica canzone, centrale, che manca all’appello per concludere Superbia, mina inesorabilmente il rapporto con Susan che, seppur ancora innamorata, si sentirà costretta ad accettare un lavoro distante da lui.
Intanto, anche i rapporti con i suoi amici si fanno sempre più tesi proprio a causa del suo tendere all’autoreferenzialità. Mark all’apice di un litigio, confessa a Larson la sua sieropositività attribuendone la causa per la quale lui stesso ha preferito anteporre una vita più sicura alle sue passioni.
La condizione di salute di Mark, la sua omosessualità e l’impossibilità di godere degli stessi diritti degli altri lo hanno sempre di più spinto a puntare ad un’esistenza fatta di certezza, in cui, almeno nel caldo fuoco della sua casa, può non sentire mancare la terra sotto i piedi.
Nonostante le difficoltà e le delusioni, Jonathan riesce a comporre la canzone centrale del suo musical a soli 12 ore dal workshop che ospita alcuni dei più importanti produttori di Broadway, tra cui Stephen Sondheim. Anzi è proprio dal baratro che Larson raccoglie le idee più innovative creando una canzone esplosiva e struggente allo stesso tempo.
Del resto, il suo lavoro rispecchia quella che sembra essere la sua indole: un talentuoso idealista ed innovatore ma nel contempo, deluso dal quel sogno americano di cui non si sente far parte. Infatti, le sue canzoni raccontano con tenera disillusione di desideri personali spesso frustrati e spenti da una società individualista, consumistica come quella americana.
Sebbene Superbia raccolga i consensi del pubblico del workshop, non verrà mai prodotto per come è stata concepita e l’unica cosa che rimane a Larson, a pochi giorni dal suo temuto trent’esimo compleanno, è continuare a scrivere. Scrivere, Scrivere e ancora scrivere fin tanto che, finalmente, la grande occasione si presenterà.
Ma il talento di Jonathan Larson è unico anche in questo: non avrà mai modo di comprendere l’enorme impatto che i suoi spettacoli hanno avuto sugli artisti e sul pubblico. Larson, infatti, muore a soli 35 anni poco prima della prima del musical Rent! la sua pièce di più grande importanza, rimasta a Broadway per ben una quindici anni, rivoluzionando completamente le regole del musical.
Intanto, però, Jonathan una domenica del 1990 ha compiuto finalmente gli attesi trent’anni e, circondato di amore e amici, prova ad immaginare quale sarà il suo futuro, un avvenire sì effimero ma assolutamente intenso. Di fatti, il racconto del progetto Superbia e del suo fallimento viene riproposto a teatro tramite un monologo rock ironico, dissacrante da un lato eppure profondo e toccante dall’altro.
Tick Tick…Boom! si trasforma, quindi, in una considerazione sulle incertezze del domani, sulle difficoltà dell’amore e sulla necessità di non tradire sé stessi, la propria natura, per mero profitto.
Andrew Garfield fornisce una dolce rappresentazione di Jonathan Larson, dimostrando doti canore, di movimento e di ballo mentre il regista, riportando in auge il monologo di Larson, intervallato dal racconto della sua vita, gli rende onore, nascondendo la propria impronta, per far comunicare il protagonista.
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Al termine di Tick Tick…boom! è impossibile non rimanere intimamente toccati: generazioni e generazioni si confrontano con le medesime incognite, con una realtà che tarpa le loro ali e i desideri di autoaffermazione.
Non ha avuta la fortuna di poter godere dei propri sacrifici e osservare dall’ultima fila di un teatro, i frutti della sua meticolosità. E se Larson non può gioire, allora lo facciamo noi spettatori, per lui:
Grazie, Jonathan Larson!