Serie TV

After Life 3, un finale onesto per la serie più riflessiva di Ricky Gervais

Sono rimasta sorpresa quando Ricky Gervais ha optato per la terza stagione di After Life. Non perché la storia non valesse la continuazione, ma perché il comico di solito non va oltre la seconda stagione. The Office, Extras e Derek sono rimasti dentro i limiti delle due stagioni buone. Forse è un caso, ma si ha come la sensazione che Gervais preferisca scrivere una buona storia per quello che è terminandola anche precocemente piuttosto di portarla troppo avanti con il rischio di deludere il pubblico.

Tuttavia, After Life si è stata diversa sotto molti punti di vista, grazie al potere di Netflix, questa drammatica storia ha avuto una risonanza globale, accumulando incredibili ore di visione lungo il suo percorso. La storia si è rivelata essenziale per l’umanità, e ha esteso il suo messaggio al di là di ciò che è stato raggiunto in Derek. La normalità di una comunità, la gentilezza delle persone, la natura routinaria della vita erano tutte racchiuse nella sceneggiatura e nella direzione.

Con l’arrivo della stagione finale, è stato quasi ovvio rendersi conto di quanto fosse semplice la storia di After Life, e questa non vuole essere assolutamente una critica, anzi il suo esatto contrario. After Life 3 gioca con i suoi punti di forza, con Gervais che mette al centro se stesso, tirando le fila come conduttore per far passare i messaggi.

La terza stagione entra così in una nuova fase del ciclo del dolore: la rabbia. Tony (interpretato da Ricky Gervais) ha accettato di non volersi togliere la vita (anche se, ironicamente, “non vede l’ora di morire”) e che la vita vale la pena di essere vissuta. Si può sostenere che il finale di stagione riguardi proprio lo scopo; il bisogno umano di trovare qualcosa per cui alzarsi la mattina. È un concetto strano il fatti che “avere uno scopo” sia la ragione principale della felicità, ma la sceneggiatura della terza stagione di After Life fa del suo meglio per capire il perché. Stiamo tutti cercando di vivere per arrivare alla fine della giornata.

After Life 3 mi fa venire in mente la frase “cerca di lasciare il mondo un posto migliore di come lo hai trovato”. Non distruggere l’universo con l’auto-sabotaggio, il risentimento e l’amarezza, se torniamo con la mente alla prima stagione, Tony era quasi riluttante al concetto di vivere, a tal punto da prendersela con le persone che gli volevano bene.

Ed è questo che rende la terza stagione bellissima. Mentre Tony è il personaggio principale, il suo impatto su coloro che lo circondano diventa importante. Kath troverà una cura per la sua solitudine? Emma troverà la felicità che sta cercando al di fuori del lavoro? Matt troverà un modo per “lasciare andare le cose”? La terza stagione è la storia di tante persone che cercano di definire il prossimo capitolo delle loro vite.

Naturalmente, il significato del dolore circonda in modo totalizzante la terza stagione, è la pietra angolare della trama, dopo tutto. Tuttavia, sembra esserci una maggiore accettazione del fatto che “la vita continua”. Il filmato di Lisa sembra meno doloroso, ma non in modo avvilente; è una riflessione sul fatto che Tony sta venendo a patti con il vivere il dolore, ma trovando comunque la felicità.

Probabilmente il messaggio più importante che arriva con il capitolo finale è che siamo tutti umani, abbiamo tutti le nostre stranezze e i nostri problemi. Nessun problema è più importante di un altro, e tutto è relativo. Viviamo e basta. In qualche modo, Gervais è riuscito a racchiudere ciò che significa svegliarsi e vivere ogni giorno e vedere la vita delle persone attraverso lenti diverse.
Con la stagione 3, che segna la fine di After Life, possiamo concludere che questo non è il miglior lavoro di Ricky Gervais, ma è senza dubbio il più importante.

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