Spider-Man: No Way Home, Tom Holland vola nel multiverso. Recensione
Per mesi l’hype intorno a Spider-Man: No Way Home è stato ineluttabile, addirittura dal clamoroso cliffhanger finale in Spider-Man: Far From Home del 2019, in cui la versione MCU di J. Jonah Jameson ha incastrato Spider-Man per la morte di Mysterio.
Contemporaneamente è stata rivelata la sua identità segreta, i fan si sono chiesti come Peter Parker (Tom Holland) avrebbe affrontato la peggiore possibilità che potesse immaginare. Come sopravviverebbe al fatto di non essere più anonimo?
Inoltre, chi è questa versione di Jameson e perché è interpretato nuovamente da J.K. Simmons dopo 14 anni di assenza dal ruolo?
Non è uno spoiler, visto che è nei trailer, che queste domande trovano risposta abbastanza rapidamente durante il primo atto di No Way Home, con Peter ricercato dalla polizia e la sua copertura saltata, il suo mondo è ora sottosopra. Zia May (Marisa Tomei), il suo migliore amico Ned (Jacob Batalon) e l’amore della sua vita, Michelle “MJ” Watson (Zendaya) sono anch’essi presi nel vortice della cattiva pubblicità intorno a Spider-Man, che minaccia di travolgere le loro vite. Così Peter fa l’unica cosa sensata che gli viene in mente: chiede aiuto a un collega Avenger.
Quell’Avenger è il Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), che percepisce il dolore di Peter e accetta di lanciare un incantesimo per far dimenticare a tutti che Peter è Spider-Man. Ma a metà del processo Peter si rende conto che non vuole che tutti dimentichino, soprattutto le tre persone per lui troppo importanti, quindi il suo tentativo di far cambiare l’incantesimo a Strange, che ormai è avviato, apre una crepa nell’universo che non avrebbe mai dovuto essere aperta.
Attraverso quella crepa arrivano un ensemble di cattivi che sono completamente estranei a questo Peter Parker, ma ben noti ai fan delle epoche di Tobey Maguire e Andrew Garfield del franchise di Spider-Man: Dr. Otto “Doc Ock” Octavius (Alfred Molina), Max “Electro” Dillon (Jamie Foxx), Flint “Sandman” Marko (Thomas Haden Church), Dr. Curt “the Lizard” Connors (Rhys Ifans), e, probabilmente il più inquietante di tutti, Norman Osborn (Willem Dafoe).
Sì, proprio il Green Goblin originale è tornato. Non sono proprio i Sinistri Sei, ma sono certamente i Temibili Cinque che Peter deve radunare in modo che Strange possa rimandarli a casa. Il che è molto più impegnativo di quanto sembri.
Il dilemma che si presenta a Peter in Spider-Man: No Way Home è un enigma quasi uscito da un classico fumetto di Spider-Man. Mentre dà la caccia a questi furfanti, Peter decide di fare la cosa giusta invece della cosa più semplice, e le sue azioni hanno ramificazioni per lui e per i suoi cari che mettono questo adolescente a dura prova come non mai.
“A volte dimentico che sei ancora un ragazzino”, gli dice Strange e questo riassume il tormento di Peter in una sola battuta. Nonostante tutto quello che ha visto e fatto nella sua giovane vita, è ancora troppo giovane e le decisioni che prende possono essere impulsive e sbagliate.
Ci vuole un po’ di tempo perché Spider-Man: No Way Home entri nel vivo della questione, alcune parti della prima metà del film sono caratterizzate da svolte maldestre della trama (non pensavo di dirlo, ma stavo per addormentarmi, solo per un attimo). Ma una volta che il regista Jon Watts – al suo terzo film su Spidey, da una sceneggiatura degli scrittori di Far From Home Chris McKenna e Eric Sommers – tocca il cuore del conflitto di Spider-Man si alza sia la posta in gioco che l’intensità, in quel momento No Way Home diventa qualcosa di epico.
Non fraintendetemi, ci sono davvero una montagna fan service in No Way Home, ma è giusto anche dire che il film – a differenza di tanti altri con i supereroi e molti cattivi – in qualche modo riesce a funzionare perfettamente. Doc Ock, Electro e Norman Osborn hanno tutti delle parti importanti, anche Lizard e Sandman godono due o tre momenti particolarmente interessanti. Nessuno viene messo in disparte e non è cosa da poco, visto l’enorme numero di personaggi presenti.
Vederli interagire tutti insieme tra di loro fa quasi venire un magone nostalgico a quelli che hanno desiderato a lungo che accadesse.
Anche Doctor Strange è una presenza davvero gradita dopo essere stato messo in disparte per la maggior parte di Avengers: Endgame, e la relazione tra lui e Spider-Man/Peter è molto diversa dalla dinamica di quest’ultimo con il defunto Tony Stark.
Strange non è un mentore o una figura paterna per Peter come lo era Tony, ma non sono nemmeno del tutto distanti. In genere, Strange pensa di saperne di più del giovane liceale, e per parecchio tempo sembra proprio avere ragione, con grande sgomento di Peter.
Al centro di tutto c’è la performance stellare di Holland, e speriamo sinceramente che non abbia intenzione di appendere al chiodo i suoi spara ragnatele dopo questo film. No Way Home presenta la miglior performance di Holland come Peter e Spider fino ad oggi, con il film che lo porta verso livelli emotivi estremi che non aveva mai toccato prima. La chimica con Zendaya e Batalon è molto reale (Zendaya emana una forte empatia e calore e insieme a Batalon regalano anche un dolce sollievo comico).
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L’azione nel film è allo stesso modo formidabile, lo si sente davvero, in particolare durante la prima battaglia di Spidey con Doc Ock, e lo scontro culminante colpisce allo stesso modo delle battute emotive inaspettate che chiudono il cerchio per lo Spider-Man di Holland.
C’è anche una sequenza con Doctor Strange che sembra uscita dalle pagine di uno dei loro numerosi team-up. In effetti, gran parte di No Way Home, con i suoi molteplici cattivi, le incursioni nella magia, nelle stranezze del multiverso e le motivazioni molto serie dei personaggi, si appoggia alle sue radici fumettistiche molto più di quanto abbiano fatto precedentemente Spider-Man: Homecoming e No Way Home.
Questa sembra la miglior prova di Watts nel MCU finora (il che fa ben sperare per il suo prossimo incarico, I Fantastici Quattro), e mentre la computer grafica coinvolta nel riportare Lizard e Sandman è ancora un po’ traballante, le braccia di Doc Ock e il modo in cui si muove sono più impressionanti che mai. La fotografia di Mauro Fiore è solida e degna di nota, mentre la colonna sonora di Michael Giacchino (dopo il suo lavoro in Far From Home) colpisce sia le note emotive che quelle cosmiche più bizzarre.
Spider-Man: No Way Home conclude un anno strano per la Marvel con una posizione solida. Mentre il 2021 è stato caratterizzato da un prequel godibile anche se ridondante (Black Widow), un debutto convincente per un eroe oscuro (Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli) e uno spettacolo sperimentale anche se divisivo con personaggi ancora più sconosciuti (Eternals), No Way Home incanala l’intero spettro dei film dell’Uomo Ragno, impostando finalmente il personaggio su un percorso tutto suo.
Sembra scontato dirlo ma l’ultima cosa che voglio aggiungere è di non alzarvi dalle sedie dopo i titoli di cosa, ma non solo i primi titoli… proprio tutti i titoli di coda.