Cinema

Lina Wertmüller se ne va, resta il ricordo nei film di una regista che raccontava il vivo e il vero

L’arte di dire il vero senza filtri

Lina Wertmüller se ne va, scompare con discrezione una mattina di dicembre in un anno, il 2021 che volge al termine portando via con sé altre figure dello spettacolo che ricordiamo con nostalgia. Un 2021 che ha avuto tutta l’aria di essere un anno puramente di passaggio, un anno da sopportare, un anno faticoso da portare avanti nella noia esistenziale se pensiamo alle varianti del Covid e alla perdita di personaggi fondamentali nella storia del nostro paese, proprio come fondamentale era Lina Wertmüller. Cosa ci resta? Chi ci rimane?

Lina Wertmüller se ne va e lascia un cinema fondamentale, importante, significativo ma soprattutto un cinema rappresentativo di una personalità forte e in grado di raccontare una storia con verità e chiamare le cose con il loro nome, senza temere il politicamente corretto.
Perché i film di Lina Wertmüller sono fotografie della storia del nostro Paese, rappresentative di una certa società, sono film politici, senza vantarsi di esserlo, sono film che non si attribuiscono alcuna etichetta perché le etichette non facevano parte della personalità della regista.

Pensare alla morte di una donna importante come Wertmüller mi ha fatto pensare al nostro contemporaneo, al fatto che stiamo perdendo figure di riferimento le quali, prima ancora che fare chiacchiere, facevano fatti.
Mi trovo a riflettere soprattutto sulla spasmodica esigenza dell’essere umano contemporaneo di etichettare ogni cosa, di spiegare tutto e soprattutto di avere un’opinione su tutto.
Perché associare queste riflessioni a Lina Wertmüller? Perché penso che i suoi film parlino da soli, perché penso che oggi Giancarlo Giannini non potrebbe permettersi di tirare i capelli a Mariangela Melato mentre la chiama “battona”. Questo non perché qui siamo sostenitori della violenza, ci mancherebbe altro! Ma semplicemente credo che una storia in quanto tale debba e possa raccontare tutto, il bello e il brutto. Senza contare per altro che i film di Wertmüller sono espliciti e provocatori per una semplice ragione: sono veri, raccontano le cose vive.

Tutti sappiamo bene che un parolaccia in un film di Lina Wertmüller, una scena di sesso, la rappresentazione della sensualità, quella primordiale, parla al contempo due lingue.
Una scena di sesso, la sensualità, la parolaccia, la carne viva e la vita nella sua essenza primigenia che vediamo nei suoi film è ciò che è ma anche ciò che vuole rappresentare e dire al di là di quanto vediamo.
E se non è questo il ruolo dell’arte non edulcorata e buonista, ditemi allora qual è?

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974)

La carriera di Lina Wertmüller

Lina Wertmüller ha fatto scuola con i suoi titoli lunghi, con I basilischi (1963), il suo esordio dietro la macchina da presa che vuole omaggiare I vitelloni (1953) di Federico Fellini di cui è stata aiuto regista in film come La dolce vita (1960) e 8 e 1/2 (1963). Ma prima del battesimo del fuoco con il regista italiano più conosciuto al mondo, Wertmüller aveva lavorato come animatrice e regista degli spettacoli del teatro dei burattini di Maria Signorelli. Successivamente aveva collaborato con celebri registi teatrali, tra i quali Guido Salvini, Giorgio De Lullo e Garinei e Giovannini. Conducendo una gavetta che si rispetti, lavorava sia per la radio sia per la televisione, e in veste di autrice e regista alla prima edizione di Canzonissima (tra i capisaldi della televisione italiana) e Il giornalino di Gian Burrasca con Rita Pavone protagonista maschile.

Nel 1968, si serve di uno pseudonimo Nathan Witch, per dirigere un western all’italiana, Il mio corpo per un poker con Elsa Martinelli. Nella seconda metà degli anni sessanta inizia il sodalizio con Giancarlo Giannini, presente nei suoi grandi successi Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Pasqualino Settebellezze (1976), La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978) e Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici (1978).

In particolare Pasqualino Settebellezze, segna un punto di riferimento e un traguardo importante per la regista poiché il film ebbe un successo tale da arrivare negli Stati Uniti, e Wertmüller è candidata a tre Premi Oscar nella cerimonia del 1977 (migliore regia, miglior film straniero, migliore sceneggiatura), mentre una quarta candidatura arriva a Giancarlo Giannini per la sua interpretazione del protagonista. Lina Wertmüller è la prima donna a essere candidata alla vittoria dell’Oscar come miglior regista; dopo di lei ci saranno solo Jane Campion, Sofia Coppola, Kathryn Bigelow, Greta Gerwig, Emerald Fennell e Chloé Zhao, rispettivamente nel 1994, 2004, 2010, 2017, 2021.

Tra i registi della storia del cinema potremmo definire Lina Wertmüller un’autrice e allo stesso tempo capace di fare un film così detto commerciale, ossia in grado di sbancare al botteghino.

Io speriamo che me la cavo (1992)

Lei come poche altre figure è stata di grande esempio per le donne e senza appiccicarsi alcuna etichetta, tantomeno quella femminista, di cui dichiarava di non essere interessata, perché i suoi erano argomenti che si rivolgevano all’umanità tutta senza distinzioni e lo si evince da una sua dichiarazione che riassume cosa è stata questa donna e regista italiana:
«Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l’unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film»

Lina Wertmüller se ne va lasciando un esempio di personalità acuta, intelligente e onesta senza aver mai avuto la pretesa di essere un modello per nessuno eppure lo è stata con l’acume del suo sguardo attento alla realtà dietro i suoi occhiali bianchi e con la voglia di raccontare storie che le bruciava dentro, a prescindere dal suo essere donna ma essendo innanzitutto Lina. E noi? Noi speriamo che ce la caviamo…

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