Rogue One: A Star Wars Story, recensione dello spin-off della saga
Quando venne annunciata una nuova trilogia di film di Star Wars i fan si divisero in due fazioni: gli entusiasti e i preoccupati. Se da una parte nuovi film avrebbero significato nuove avventure intergalattiche, dall’altra si prospettava il pericolo di un prodotto pregno di malinconia, ma povero di contenuti originali (cosa che, effettivamente, è successa). A parte pochi personaggi interessanti, i nuovi Star Wars non hanno centrato il bersaglio e la delusione è stata in generale palpabile. Ma non tutto il male viene per nuocere: la nuova trilogia ha riacceso l’interesse per i film di George Lucas, portando con sé nuove serie (animate e non), nuovo merchandise e anche un gioiellino di spin-off: Rogue One – A Star Wars Story.
Nel 1977 uscì il primo film di Guerre Stellari: con Una nuova speranza ebbe inizio una saga cinematografica dal successo spropositato, diventata un cult per grandi e bambini e destinata a far parlare di sé per molto tempo. Nell’Episodio IV (così rinominato in seguito all’uscita della trilogia antecedente all’originale) un gruppo di ribelli, guidati dalla principessa Leila, si batte contro l’Impero Galattico guidato dall’Imperatore e da Dart Fener, Signore dei Sith. La principessa, durante una rovinosa battaglia, riesce a trasmettere un messaggio a Obi-Wan Kenobi, un cavaliere Jedi: la comunicazione, come si scoprirà in seguito, contiene i piani della Morte Nera, stazione spaziale e arma di distruzione dell’Impero. I piani serviranno per distruggere la stazione e dare inizio alla rivincita dei ribelli.
L’idea di Rogue One: A Star Wars Story partì proprio dal furto dei piani, un avvenimento mai approfondito nei film e a cui non si è mai accennato. Chi sono i volti dietro la prima vittoria dei ribelli? Da questa domanda, quasi insignificante, è nato uno dei migliori film della saga, in grado di tenere testa alla trilogia originale e distaccarsi dalla nuova per originalità, profondità dei personaggi e combattimenti mozzafiato.
Protagonista della pellicola è Jyn Erso (Felicity Jones), figlia dello scienziato Galen Erso (Mads Mikkelsen), ritiratosi sul pianeta Lah’mu con la famiglia dopo essere stato per anni al servizio dell’Impero. La felicità dell’uomo è interrotta dall’arrivo del direttore imperiale che uccide sua moglie e lo costringe a terminare la Morte Nera. 13 anni dopo Jyn, sopravvissuta all’incursione degli imperiali, viene fatta evadere dalla prigione da dei ribelli: il loro scopo è sfruttare la ragazza per trovare Galen e ucciderlo, impedendo la costruzione della stazione spaziale.
Comincia così l’avventura di Jyn, lontana dai Sith e dai Jedi ma altrettanto carica di emozioni e combattimenti coinvolgenti. La bravura di Gareth Edwards, il regista del film, è stata quella di aver creato un ottimo film senza giocare sulla malinconia e inserire personaggi storici. La pellicola si incastra perfettamente nell’universo di Star Wars, cogliendo appieno lo spirito e il messaggio, ma mantiene una sua identità senza doversi appoggiare all’eredità passata, tanto che il film si rivelerebbe un prodotto molto valido anche se non facesse parte della saga.
Rogue One: A Star Wars Story sarebbe dovuto essere soltanto uno spin-off, e invece è diventato tra i film più amati della saga. Ad essere sinceri, nessuno aveva mai sentito la necessità di sapere come i piani della Morte Nera fossero finiti nelle mani di Leila, anche se molti si erano interrogati su questo “buco di trama”, se così vogliamo chiamarlo, senza però dargli mai peso. In fondo si trattava di un particolare ininfluente, una spiegazione non necessaria del contratto narratore-spettatore. Eppure Edwards ci ha provato lo stesso, e da una piccolezza è riuscito a unire i fan creando uno dei film più belli del franchise.
Non c’è nulla che non vada nel film, a partire dai combattimenti e arrivando ai dialoghi, privi di qualsiasi zampino Disney, profondi e potenti. Ogni personaggio è tutt’altro che dimenticabile, riuscendo a far breccia anche nei cuori dei più restii ad accettare uno spin-off. Sempre pieno di adrenalina, fin dai primi minuti, il film raggiunge i suoi momenti più alti nella terza parte, quella della battaglia finale che passerà il testimone a Una nuova speranza. 40 minuti di combattimenti epici, emotivamente e visivamente coinvolgenti, in grado di riportarci alle vecchie perle di George Lucas e non annoiare.
La vera forza di Rogue One: A Star Wars Story sta nell’umanità e nella fragilità dei protagonisti, persone normali in missione per salvare la galassia. Rogue One non parla di grandi eroi infallibili, ma di persone coraggiose che danno il meglio di sé per vincere, al servizio di un bene più grande. Nessuno di loro compete con la grandezza dei Jedi o la malvagità dei Sith, ma non ce n’è bisogno: la grandezza dei personaggi sta proprio nel fatto di essere umani, fallaci, pieni di debolezze ma inarrestabili. Eroi leggendari, principesse e comandanti non riuscirebbero a vincere da soli le grandi battaglie: hanno bisogno di soldati intrepidi, seppur pieni di dubbi e paure, ma pronti a sacrificarsi per ciò in cui credono.
In attesa che esca la serie spin-off Andor che porta sul piccolo schermo uno dei protagonisti di Rogue One: A Star Wars Story. Se volete sapere tutto lo trovate a questo articolo.