Non è questo che sognavo da bambina è l’esordio letterario di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio, edito da Garzanti.
Non è questo che sognavo da bambina è una frase che molte tra di noi si sono dette osservando la propria vita mentre si procedeva arrancando nel mondo degli stage e dei contratti a tempo, volgendo uno sguardo malinconico al cassetto dei nostri sogni messo da parte per pagare le bollette e (come dicono le autrici in questa storia) comprarci la carta igienica quattro veli.
Naturalmente il lavoro che ci permette di pagare le bollette non è quello che amiamo, anzi ci procura una certa gastrite e alzarci la mattina sembra sempre più difficile.
Questo è esattamente quello che succede a Ida, aspirante sceneggiatrice reduce dalla Civica scuola di Cinema di Milano che si ritrova a svolgere uno stage presso la Meeto, una delle migliaia di agenzie di comunicazione della città.
Ida è come molti coetanei una precaria e ha dovuto mettere da parte il suo sogno del cassetto per sopravvivere nella tentacolare Milano mentre annaffia tutte le sue ansie, preoccupazioni per il futuro e dispiaceri nell’alcool.
Tutto è cambiato da un giorno all’altro, studiava cinema; scriveva; aveva un ragazzo, Dario e il futuro era pieno di promesse.
Da un giorno all’altro, precisamente il giorno del loro anniversario Dario la lascia e lei si trova in un ufficio in cui i colleghi sembrano snobbarla al punto da non invitarla a pranzo.
La nausea che le procura scrivere copy per i prodotti e rispondere ai messaggi degli utenti insoddisfatti non si può descrivere ma questo malessere si evince dal suo rendimento sul lavoro, inizialmente molto basso.
Poi un giorno, la svolta, Ida inizia a capire il meccanismo, un collega le dà la chiave di lettura giusta e improvvisamente Ida diventa l’impiegata migliore che ci sia.
L’ennesimo rifiuto dall’ennesimo concorso per cortometraggi la convince che forse il suo destino non è quello e che magari c’è qualcosa di buono nello scrivere testi per le aziende e poi i colleghi hanno iniziato a rivolgerle la parola, invitarla a pranzo e per le pause caffè.
Ogni tanto Ida si volta indietro verso Dario, diventato “merdario non gli scrivere” sul suo cellulare ma viene anche distratta dal fascinoso Tommaso, collega dell’ufficio e da Gigi il capo. Da quest’ultimo Ida viene presa da una sorta di sindrome di Stoccolma.
Insomma ogni cosa nella vita della protagonista è segnata dall’incertezza e nessun rapporto è davvero concreto, stabile, tutto sfuma in una bolla di sapone.
Anche questo romanzo, come altri di cui ho parlato in precedenza racconta il disagio di una generazione, racconta delle difficoltà di cui nessuno, tranne chi le vive in prima persona, dice niente. Parlo di quel mondo ostile che è la vita fuori dalla campana di vetro dell’Università, il mondo reale che ti sputa via come una gomma masticata.
Non è questo che sognavo da bambina è lapidario nel titolo, dichiarando subito cosa troveremo tra le sue pagine. Con grande ironia e autoironia le autrici attraverso le disavventure e l’insoddisfazione della protagonista hanno voluto dire la loro su un fatto: il mondo del lavoro ci cambia, ci trasfigura, ci porta a dimenticare chi siamo e non ci soddisfa quasi mai. Le promesse che ci hanno fatto e che ci eravamo fatti quando studiavamo non si sono realizzate e la vita ora ci chiede continuamente sforzi enormi per sopravvivere, per giunta senza essere davvero felici o appagati dal lavoro.
Il mondo in cui viviamo, o forse il Paese Italia, non sembra fatto per la nostra generazione e neanche sembra davvero interessato a quello che abbiamo da dire e allora ci tocca scriverlo, gridarlo, pubblicarlo sui social, far sentire la nostra voce in altro modo.
Così nascono libri come questo, podcast, blog, profili instagram o altro, perché è vero quello che si racconta in Non è questo che sognavo da bambina che a un certo punto ci si rimbocca le maniche e ci si adatta, si scende a compromessi e si accetta la vita come viene ma poi succede che la nostra voce interiore urla e pretende di essere ascoltata.
Sono proprio questi momenti di rottura che portano a una maggiore consapevolezza, che non si può sfuggire a se stessi perché quella vocina dentro di noi verrà a chiederci il conto.
Di Ida ce ne sono tante e come lei cercano di trovare serenità, un posto nel mondo, come lei tante persone girano a vuoto cercando una direzione mentre sembra che intorno a lei tutti abbiano capito cosa sta succedendo. Come lei tante altre persone si sforzano di fare cose che non hanno mai sognato né voluto eppure le fanno per andare avanti, per avere un’indipendenza, sacrificando la propria felicità mentre magari quella compagna di corso gli passa accanto con i suoi successi proprio nel lavoro che loro desideravano tanto.
Perché anche questo succede a Ida che alla fine di questo romanzo diventa un’amica che ti capisce e che a tua volta riesci a comprendere.
La capacità delle autrici nella scrittura di questa storia è stata quella di restituire una verità sulla vita dello stagista medio senza edulcorare nulla, nemmeno le relazioni. Infatti in questo romanzo non vi si trova una sola storia d’amore ma solo potenziali rapporti destinati a essere stroncati sul nascere e mai davvero appaganti, perfettamente in linea con il precariato che dilaga anche nella vita privata.
Vi rimando, dunque, alla lettura di Non è questo che sognavo da bambina, per ricordarci che non siamo soli e che dalle situazioni spiacevoli e insoddisfacenti della vita possono nascere possibilità come questo romanzo.
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