Sweet Home, la Corea è il presente e il futuro del cinema. Recensione
Dopo l’incredibile successo di Squid Game, un’altra serie Netflix sta ampiamente dimostrando come la Corea sia il presente e il futuro del cinema: Sweet Home. A dire il vero, già da un paio di anni il cinema coreano è diventato un punto di riferimento per la cinematografia contemporanea con film come Parasite o Minari, ma, negli ultimi mesi, è riuscito anche a imporsi in un mercato diverso come quello delle serie tv. Questo perché il cinema coreano, oltre a trattare molto spesso di temi non considerati dal cinema occidentale (vedi le tematiche di classe sociale), riesce a non essere mai scontato e, allo stesso tempo, molto lirico sia nella sceneggiatura sia nelle inquadrature. I tempi, elemento fondamentale per un qualsiasi prodotto culturale ben riuscito, si dilatano quanto basta, senza rendere la narrazione noiosa e dando il tempo allo spettatore di immergersi completamente nel mondo della finzione.
Sweet Home è una serie molto bella: ambientata in un 2020 che si trasforma in breve tempo in un mondo apocalittico, in cui la maggior parte degli esseri umani, per cause non ben definite, si trasforma in mostri pronti a divorare ogni altra forma di vita. La narrazione avviene tutta all’interno di un palazzo, dove tutti gli abitanti si riuniscono per resistere e per trovare una via di salvezza dall’imminente fine del mondo. Presentata così, la serie può sembrare un classico della cinematografia apocalittica: i mostri, il gruppo di persone intento a collaborare per salvarsi, un luogo sicuro in cui tutti sono riuniti, la paura di un qualche attacco, il non sapere cosa ci sia fuori e se il mondo sia ancora in piedi. Ma, a differenza di ciò che avverrebbe nel cinema occidentale, in Sweet Home prevale una leggera poesia che colora la vita di tutti i personaggi.
Il tempo scorre e scava all’interno delle anime dei protagonisti, li studia, li mostra nei suoi lati più oscuri e svela le maschere che indossano. Da questo punto di vista, ma a mio avviso, anche su molti altri, Sweet Home supera Squid Game presentando dei personaggi reali e densi di quell’umanità necessaria per partecipare emotivamente allo svolgersi della narrazione. Sweet Home, dunque, ha successo dove Squid Game aveva fallito: nella caratterizzazione specifica di ogni personaggio. Infatti, in Sweet Home è inevitabile affezionarsi alle storie dei singoli personaggi e, altrettanto inevitabile, è sperare che essi non muoiano e che sopravvivano perché, come ormai è risaputo, il cinema coreano non va dato per scontato e la morte di un personaggio centrale può arrivare da un momento all’altro.
Il presente e il futuro del cinema, dunque, è la Corea e Sweet Home ne è la più lampante dimostrazione. È necessario, dunque, che, per quanto riguarda le serie tv, la produzione cinematografica occidentale impari a trarre dal cinema coreano alcuni aspetti tematici e linee narrative per rinnovare una produzione che rischia di diventare monotona e stantia.