I fratelli De Filippo è l’ultimo film da regista di Sergio Rubini presentato in Selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma e racconta, come si evince dal titolo, la nascita del trio De Filippo dai primi esordi sulle tavole del palcoscenico alla formazione di una compagnia propria e slegata dalla famiglia Scarpetta, di cui Eduardo fu il fondatore e direttore artistico.
Chiunque abbia approfondito un minimo la storia dei De Filippo e di Eduardo in particolare saprà che parlare di questi tre fratelli e della loro famiglia vuol dire, certamente, parlare della storia del teatro napoletano ma allo stesso tempo significa parlare anche dei fatti della famiglia allargata di Eduardo Scarpetta.
Come si suol dire, è storia nota, Scarpetta aveva una moglie “ufficiale” dalla quale aveva avuto tre figli, tra cui Vincenzo (che avrebbe portato avanti l’eredità di Scarpetta ancora qualche anno dopo la morte del padre), e diverse relazioni ufficiose dalle quali nacquero altri figli, quelli che un tempo si chiamavano figli di Nn. E proprio di Nn erano figli i tre De Filippo, alla luce del sole nipoti di Eduardo Scarpetta, ma dal punto di vista del sangue, erano diretti figli del commediografo napoletano.
Superficialmente si potrebbe ironizzare sull’atteggiamento farfallone di Scarpetta ma in profondità il suo comportamento a generato non poco dolore a chi gli stava intorno, sia ai figli legittimi che a quelli illegittimi. Questi ultimi tenuti fuori dall’eredità di famiglia.
Eduardo, Titina e Peppino vengono raccontati a partire da questo contesto e Rubini si concentra sul rapporto che intercorreva tra di loro. Dei tre Peppino viene rappresentato come quello più distante, e in effetti lo era se si pensa che i primi anni della sua vita si sono svolti a balia in un paese della campagna intorno Napoli chiamato Caivano. I due fratelli maggiori avevano tra di loro invece un legame più forte e la loro unione senz’altro li ha tenuti insieme più facilmente mentre, come’è noto, tra Eduardo e Peppino vi era sempre qualche contrasto.
Nel film vediamo tutte queste cose raccontate con una particolare attenzione ai dettagli e con una messa a fuoco puntuale del rapporto tra i fratelli.
Rubini con poche pennellate ci mostra il forte legame fra Titina e Eduardo, un legame di cui lui avrebbe parlato molte volte anche dopo la scomparsa dell’amata sorella e con le stesse poche e precise pennellate fatte di sguardi e frasi affettate racconta le incomprensioni tra lo stesso Eduardo e Peppino.
Tutto questo si svolge nella cornice di Napoli, la vera Napoli con i suoi vicoli e i teatri e quell’aria di una volta in cui tante cose di oggi, tante brutture non c’erano ancora.
Vediamo inoltre con un intreccio dinamico e mai stanco come avviene il forzato passaggio di testimone dalla generazione Scarpetta a quella De Filippo con l’innovazione e lo svecchiamento messi in atto dalla drammaturgia di Eduardo.
Vediamo così attraverso lo sguardo della macchina da presa che entra in casa Scarpetta e l’ottima interpretazione drammatica di Biagio Izzo (Vincenzo Scarpetta) quanta avidità poteva esserci in quel mondo in cui un nome pesava tanto, sia da vivo che da morto.
Il nome, questa cosa piccola e apparentemente insignificante che tanto peso ha nell’identità e a volte nel destino di una persona.
Rubini, dopo un lavoro di sette anni fatti di letture, ricerche e scrittura, ha raccontato come il trio si costruisce il proprio nome e la propria identità artistica lì dove vi era uno spazio vuoto lasciato dal padre biologico.
Sono questi gli eventi che danno vita a opere come Natale in casa Cupiello e Filumena Marturano, quest’ultima ladra di un nome per i propri figli.
In scena a dare corpo e voce ai fratelli De Filippo ci sono i talentuosi Mario Autore, Domenico Pinelli, Anna Ferraioli Ravel che si sono documentati sui personaggi che dovevano interpretare e poi hanno dimenticato ogni cosa (hanno dichiarato in conferenza stampa dopo la proiezione del film) così da non sfociare nell’imitazione pura o in alcuni casi nel macchiettismo.
Come dicevo l’interpretazione di Izzo nei panni di Vincenzino Scarpetta è buona, al punto da sperare che l’attore prosegua in questa deriva drammatica poiché ha saputo reggere un’interpretazione fuori dai soliti schemi della commedia.
Eduardo Scarpetta è affidato invece a Giancarlo Giannini che in questo caso ne fa un’interpretazione assai più colorita ma forse dopo la versione assai più credibile di Toni Servillo in Qui rido io di Mario Martone, questo Scarpetta è una versione meno verosimile e più grottesca. Come una sorta di cattivo delle favole, come lo stesso Rubini ha raccontato una specie di Mangiafuoco, il padre padrone che si curava poco dei tre figli illegittimi.
Sergio Rubini ha dichiarato più volte il suo amore per Napoli che per lui è la capitale del Sud e ha detto di avere un legame con questa storia e con la figura di Eduardo in particolare, la quale è entrata nella sua vita sin dall’infanzia influenzandolo anche nel proprio percorso artistico. Dunque il suo film è un omaggio ai grandi De Filippo in cui naturalmente si individua nella figura di Eduardo il protagonista e il motore effettivo della storia.
Non vi sono troppe figure di contorno in questo film, solo le figure essenziali a farci conoscere i tre fratelli, la cura dei dettagli nelle scene e nelle atmosfere ci restituisce un quadro verosimile e veritiero di una Napoli che fu e che accoglieva questi grandi artisti. In sordina ci passa anche la figura di Totò perché all’epoca in cui queste grandi leggende dell’arte si formavano c’era anche Antonio De Curtis che rispetto a Eduardo aveva appena due anni in più.
Titina e Eduardo avrebbero lavorato anche con lui e basta una piccola scena di contorno a suggerire anche questo.
Sergio Rubini ha dichiarato in conferenza stampa che inizialmente si era pensato a una serie Tv e in effetti per la molta vita che c’è dietro le tre figure di Eduardo, Titina e Peppino sarebbe bello poter vedere un continuo di questo lavoro.
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