Serie TV

Maid e il racconto di sopravvivenza nella miniserie Netflix. Recensione

Il primo ottobre Netflix ha rilasciato Maid, la nuova miniserie ispirata al bestseller di Stephanie Land Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre. La serie ha come protagonista Alex, (Margaret Qualley) una giovane mamma alle prese con le difficoltà di una vita fatta di stenti, violenza, povertà e sogni infranti. Maid, inizialmente passata in sordina come una tra i tanti prodotti offerti da Netflix, ha ben presto scalato le classifiche delle serie più viste, piazzandosi nella top 10 della piattaforma di streaming. Racconta, con crudo realismo, il complicato percorso di guarigione di una donna ferita e dei suoi disperati, talvolta struggenti, tentativi di perseguire l’ideale di un’esistenza migliore, degna di essere vissuta. Alex sa che per sua figlia il giorno più bello deve ancora arrivare: determinata a proteggere la piccola Maddy, affronta incredibili sacrifici per cancellare un passato confuso e costruire pezzo per pezzo, un futuro diverso.

Nella miniserie Netflix Maid, Alex è una giovane madre che scappa da una relazione violenta: dopo l’ennesima lite con il suo ragazzo e padre della figlia, decide di fuggire nel cuore della notte con Maddy. Affronta così un viaggio tortuoso per salvare la vita della bimba, costretta a toccare il fondo prima di poter risalire dall’abisso della disperazione. La donna non può contare su nessuno dei suoi familiari poiché sua madre, artista hippy, è affetta da bipolarismo non curato e risulta estremamente inaffidabile. Suo padre, invece, con cui i contatti sembrano essere sempre più rari, ha formato un’altra famiglia e abbandonato Alex, la quale, lo colpevolizza per i suoi atteggiamenti violenti durante l’infanzia. Sicura del legame con Maddy, inizia a lavorare come domestica per un’azienda di pulizie mentre trova il coraggio di rivolgersi ad un centro antiviolenza, che rappresenterà per lei un supporto concreto anche dal punto di vista psicologico. Infatti, le donne del rifugio, la guideranno verso la presa di consapevolezza delle violenze subite negli anni, sì violenze emotive, ma spesso, più incisive di una lama tagliente. Alex è dovuta crescere in fretta per poter badare a sua madre (Anne MacDowell) e guadagnare dei soldi: è in un contesto di profonda solitudine che incontra Sean, un affascinante bar tender, con la passione per la bici, reduce anche lui da un passato di sofferenze familiari. I due si innamorano perdutamente e insieme, provano a immaginare il loro futuro. Alex sogna di diventare una scrittrice e riesce ad entrare al college di Arte nel Montana. Sean, invece, progetta un viaggio in solitaria con la sua bici per inseguire un’affamata ricerca di sé stesso: l’inaspettata notizia della gravidanza di Alex cambia le carte in tavola, e, quella che sembrava essere una coppia di giovane innamorati, si trasforma in un microcosmo di violenza e distruzione. Sean, sempre più dipendente dall’alcol, obbliga Alex a rimanere in casa e occuparsi esclusivamente di Maddy, privandola della possibilità di lavorare o di gestire tutti gli aspetti della sua vita. L’alcol trasforma un ragazzo problematico, in un mostro, mentre esibisce atteggiamenti sempre più violenti nei confronti della sua famiglia. Gli abusi, di cui Alex è vittima, sono emotivi e proprio a causa della mancanza di lividi evidenti sul suo corpo, la donna ha maggiori difficoltà nel farsi credere dai suoi amici e parenti. Il centro antiviolenza invece, grazie alle storie delle sue protagoniste e alla terapia di gruppo, fa comprendere ad Alex come quei lividi, quei tagli, quelle ferite non debbano essere visibili per essere reali. La violenza psicologia è violenza e come tale dovrebbe essere trattata.

Dopo la fuga Alex non ha un posto fisso, lei e Maddy si spostano come sacchi da spazzatura tra una casa e un’altra, trovando rifugio ora sui sedili della macchina ora sul gelido pavimento del corridoio di una stazione. Alex e Maddy assumono le sembianze di due ombre stanche, vittime inconsapevoli della muffa, dei capi, dei loro genitori e di un sistema intero che ostracizza prepotentemente i poveri. Alex ama scrivere e si reiventa domestica pulendo dal più putrido dei posti all’abitazione più lussuosa: nei luoghi di lavoro, la giovane madre s’immedesima con i padroni delle case di cui si occupa. Una sera è una ricca studentessa di arte, un’altra un ladro con un’infanzia aggressiva. Lungo la strada verso la libertà, Alex intoppa in false promesse e speranze: quando lei e Sean si riavvicinano, il pattern di restrizioni e abusi riprende e per Alex l’unica soluzione sembra sprofondare nelle pieghe del divano all’interno di un mondo immaginario, personale, in cui governa il silenzio. Sean tenta invano di sconfiggere il mostro che la dipendenza dall’alcol raffigura: il giovane, vittima a sua volta di abusi, non è pronto a completare la guarigione e prima di essere un padre deve ancora capire come essere un uomo. La malattia della madre di Alex, Paula, complica ulteriormente i suoi numerosi sforzi di ricominciare, sabotandoli con improbabili fantasticherie e deliri e dimostrando, così, atteggiamenti privi di  contatti con la realtà. Paula interpretata da Anne MacDowell, reale madre dell’attrice Margaret Qualley, è un’artista dall’animo puro, visionaria, innamorata della vita anche se quest’ultima non lo è affatto con lei. Paula è reduce da relazioni oppressive, da difficoltà economiche e sociali dovute ad una malattia mentale mai davvero diagnosticata e propriamente curata. Questa barriera comunicativa tra Paula e Alex, però, è solo apparente e nonostante due universi così lontani che caratterizzano le loro personalità, l’uno idealistico e l’altro concreto, questi collidono in una dimensione personale di sincero amore materno. 

Passo dopo passo Alex esce dal guscio di protezione che si è creata: prende sua figlia e ritorna nel centro antiviolenza, lì dov’era iniziato tutto, dal punto di partenza. Questa volta Alex è decisa a dare una svolta alla sua esistenza e grazie all’aiuto di un importante avvocato consigliatole dalla sua amica- nemica Regina, raccoglie le forze per impegnarsi in un’ultima battaglia e sradicare le radici con il passato. Dopo un disperato tentativo di recuperare l’irrecuperabile, Sean compie la prima reale azione da padre, scacciando l’orgoglio e pensando unicamente al bene per sua figlia. Alex, alla fine, è finalmente libera di trasferirsi nel Montana, andare al college, provvedere per sé stessa e vivere il suo giorno più bello.

I primi lunghi piani di Alex escono di prepotenza fuori dallo schermo mentre le lacrime della donna colpiscono gli spettatori ferendone l’anima. La sua è una storia tanto intensa quanto faticosa ma che merita di essere raccontata. Maid mostra come le difficoltà colpiscano ogni classe sociale, quanto nessuno sia esente dalle sofferenze: la verità, però, è che per chi è più povero, i problemi raggiungono una portata molto più profonda. Per coloro che hanno problemi economici il mondo non è gentile, tutt’altro, questo dimostra la sua più spietata natura individualistica. Ma Alex non si arrende: la sua è una lotta frammentata, angosciante, estenuante soprattutto quando il sistema statale fallisce nel fornire gli aiuti necessari a trovare una via d’uscita dal baratro.

Il circolo di violenza perpetua che contraddistingue come una bolla i protagonisti della serie, si frantuma durante i momenti felici tra Alex e sua figlia Maddy: nei loro abbracci, nei loro rituali e tra gli anfratti del loro affetto, si cela la speranza per una vita migliore. La drammaticità intrinseca che la miniserie Netflix Maid racconta, quindi, pare interrompersi, grazie alla condivisione di dolori comuni, da parte delle donne del rifugio, vittime di violenza: il legame che connette tali esseri umani dimostra l’incredibile purezza di un amore solidale.

Alex e Maddy, dopo un po’ di tempo, raggiungono la vetta di una montagna. Il viaggio intrapreso è impegnativo, ma quando arrivano in cima e si affacciano sulla valle, quella terra, quello spazio enorme assume, ora, un aspetto particolare: è quello della rinascita.

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