“Un ebreo, un ligure e l’ebraismo. Dialogo tra un ebreo e un ligure sull’umorismo” ha come protagonisti Dario Vergassola e Moni Ovadia, in scena al Teatro Manzoni di Milano. Uno spettacolo che nasce da un dialogo, da un incontro, da due visioni diverse eppure simili. Per l’occasione abbiamo intervistato Dario Vergassola, che ha descritto e ci ha parlato del suo spettacolo.
Un ebreo, un ligure e l’ebraismo: sembra il preambolo della classica barzelletta, in realtà al Teatro Manzoni va in scena un dialogo particolare, uno scambio di pensieri, di punti di vista, di culture e sensibilità da vivere e ascoltare, a cui com-partecipare senza dubbio. Moni Ovadia e Dario Vergassola realizzano questa sorta di lezione tra due filosofie e tra due modi di fare teatro e comicità. Il tutto sullo stesso palco nella medesima giornata, il 4 ottobre.
Perché parlo di com-partecipazione? Perché Moni Ovadia, saggio perché più vecchio, terrà una specie di discussione sull’ebraismo e sul suo personale umorismo a Vergassola che da buon ligure, per affinità vicino agli ebrei, cercherà di capirne l’essenza e proverà a rilanciare, dal suo punto di vista, la lezione del saggio Moni. E quando c’è una lezione, inevitabilmente si compartecipa. Un rilancio continuo tra i due, come in una sorta di gioco.
“Un ebreo, un ligure e l’ebraismo. Dialogo tra un ebreo e un ligure sull’umorismo” presentato da Corvino Produzioni in collaborazione con Mismaonda, è uno spettacolo che trasmette curiosità, mette in discussione, chiede attenzione e apertura, coinvolgimento e sensibilità. Due figure come Ovadia e Vergassola riusciranno a trovare un accordo? A scoprire il legame tra una modalità di fare umorismo presente nella tragedia storica degli ebrei, popolo dalle straordinarie storie e fantastici scrittori, e il modo di far sorridere con l’amarezza e il cinismo ligure? Un dualismo che in realtà è somiglianza, è contatto, è appartenenza nonostante l’apparente lontananza.
Ecco l’intervista a Dario Vergassola, con cui ho avuto il piacere di dialogare e di confrontarmi.
Com’è nato lo spettacolo “Un ebreo, un ligure e l’ebraismo. Dialogo tra un ebreo e un ligure sull’umorismo”?
È nato perché io faccio delle interviste in giro, a delle persone. E poi abbiamo fatto quest’intervista qua e di questa intervista ne è venuto fuori uno spettacolo con Moni Ovadia. Con questa produzione di Corvino. Abbiamo scoperto che l’intervista è diventata una specie di intervista- spettacolo, come se fosse una piccola, non dico conferenza, ma qualcosa di simile. Fondamentalmente ci siamo trovati così. Lui (Moni Ovadia) ha un senso molto ironico, è molto intellettuale, è un personaggio insomma che c’ha la laurea, è un gran personaggio. Io sono il più “cazzaro” fondamentalmente, con le mie domande un po’ ironiche, cerco di fargli dire delle cose che poi sono venute fuori e sono quelle cose dove si parla dell’umorismo yiddish piuttosto che di quello ligure, anche noi con il cinismo siamo messi bene, da qui è venuta fuori una bella storia.
Come hai conosciuto Moni Ovadia?
Io conoscevo Moni già da prima, lo avevo visto in altre manifestazioni. Insomma, più o meno azzecchiamo la stessa aria democratica. Nelle battaglie civili ci è sempre stato, con don Gallo a Genova. Quindi insomma è uno che conoscevo. L’ho incontrato da qualche parte, in altre manifestazioni, e non può non essere simpatico.
Com’è stato lavorare con lui?
Beh, divertente perché poi anche lui, nel suo personaggio da vecchio saggio in realtà fondamentalmente, è molto divertente. È una persona che parla otto lingue, è uno che ha veramente un sacco di roba da dire. È un gran personaggio e tutto sommato ogni volta che ci lavori scopri cose nuove. Inoltre, anche lui ha questo animo da battuta, è un grande raccontatore di storie. Quindi è divertente anche per me sentirlo, perché è un modo per divulgare delle cose, che possono essere o non essere seriose, però fatte così diventano molto divertenti.
Lo spettacolo andrà in scena il 4 ottobre. Nel comunicato stampa ho letto:” Moni Ovadia prova a convertire Dario Vergassola”: senza anticipare niente, ci è riuscito? Cosa ci dobbiamo aspettare?
Si può essere. Moni dice che lo stereotipo dell’ebreo è piccoletto, poco affascinante, senza capelli. Lui invece è alto, bello, con i capelli, con la barba, molto affascinante, mente io sono più basso, brutto e poco affascinante. In pratica lui sostiene che sono già ebreo a mia insaputa e quindi che se dovessero tornare i nazisti, il primo che prendono tra me e lui sono io.
Se Moni è il saggio perché più vecchio, Dario Vergassola invece chi e come si presenta, come si definisce nello spettacolo?
Io sono il discepolo, vecchio anch’io però in questo caso perché, voglio dire, non è che se uno è più vecchio, l’altro è più giovane per forza. Però in realtà lui è più vecchio, quindi io faccio quello che lo intervista e vuol sapere delle cose. Chiedo delle cose che, fondamentalmente, sono molto interessanti però se fossero fatte in un modo più da conferenza, potrebbe anche essere, non dico noiose, ma solo per addetti. Invece il giochino sta proprio nel mio modo di porre le domande che si aprono a queste battute, a questo narrazione davvero interessante. Quindi io sono una specie di discepolo che lo sta a sentire. Sono uno molto curioso che cerca di capire queste dinamiche che ha l’ebraismo, di cui non sappiamo niente in generale se non e banalità, invece questi personaggi straordinari hanno fatto veramente dell’ironia un modo di vivere, nonostante le disgrazie.
Due persone, tu e Moni, diversi per provenienza, per appartenenze vi trovate a metà in questo spettacolo, confrontandovi, capite insieme di guardare verso la stessa direzione: è così? È la direzione verso cui poi guarda lo stesso pubblico? Può essere un input, un insegnamento che voi date a coloro che vi guardano e vi ascoltano?
Si può essere… ma non è roba di maestri, è come un giochino. Non c’è un insegnamento, se non che con l’ironia fondamentalmente si possono affrontare dinamiche e tematiche anche molto serie. Diciamo che nell’esperienza popolare ebraica ci sono tantissimi esempi di persone che hanno ribaltato le situazioni brutte utilizzando l’ironia. Senza quella non se ne esce insomma. Serve anche quella. Quindi non è una lezione di qualcosa. Naturalmente è un modo per raccontare accadimenti di Moni, è anche il suo spettacolo. Abbiamo cercato di capire che tipo di comicità si potesse fare sui noi liguri, che siamo famosi per essere cinici, mettendoci a confronto con gli ebrei, che invece riescono a fare battute anche sulla Shoah, insomma tanto di cappello.
Quindi possiamo dire che l’umorismo nasce da una sofferenza? Dalle vicende di un popolo nasce la forza di andare oltre, di avere e fare allo stesso tempo dello spirito?
Questo potrebbe essere. Chiaramente non basta l’umorismo, l’umorismo ce l’hai o non ce l’hai al di là della sofferenza. Puoi avere una vita felice ed essere umorista, non c’è bisogno di essere in mezzo sempre alle disgrazie. Però chi ha un senso dell’umorismo molto alto, secondo me riesce a darsi un colpo di reni in alcune situazioni. Diciamo che ti agevola in alcune situazioni brutte, più che a risolverle. Sì aiuta, poi è chiaro che se sei in un campo di concentramento e sei ebreo… hai voglia ad essere umorista. Però se hai la capacità di avere un sorriso, forse riesci a tenere duro un po’ di più.
È questa la visione che volete trasmettere al pubblico nello spettacolo?
Vogliamo trasmettere l’idea che l’ironia è la chiave che accomuna popoli, tratti, lingue fondamentalmente. Il tratto comune che entra in gioco sempre. Anche Moni è mezzo bulgaro, non so da dove arriva, ancora non si capisce di dove sia. È un ménage di popoli e, secondo me, è quello che dovrebbe esserci nel mondo.
Tu sei ligure: che rapporto c’è tra appartenenza culturale, regionale e umorismo e quanto conta invece il lato personale?
Il lato personale c’hai quello che c’hai, con la materia caratteriale ci puoi fare poco. Se sei predisposto un po’ alla curiosità, un po’ alle battute, diciamo che ovunque ti trovi e in qualsiasi situazione la battuta viene fuori.
Da noi i bar chiudevano alle nove e mezza, non c’era niente per strada, ti si presentava una città tristissima, capisci? L’ironia ci salvava, quando andavamo fuori al bar passavamo tutta la notte a “cazzeggiare” con la gente. C’erano i maestri di parola, che magari erano persone che facevano gli operai e avevano una grande dimestichezza con il raccontare.
Cos’hai imparato da Moni e cosa pensi lui abbia imparato da te?
Moni insegna, secondo me, questo senso dell’essere curioso, di leggere, di informarsi. È sempre sveglio, lucido, molto attento al quotidiano, sempre presente. Quindi è un bel modo per essere presenti. Moni con me si diverte moltissimo, ha poco da imparare. Da Moni dobbiamo imparare solo noi, ho imparato l’arte dell’improvvisazione, ci si sente complici. Quindi è un’amicizia che hai, una sorta di frequenza, nel senso che ci si sente uniti. Diciamo un’affinità elettiva.
Tappe future o sviluppi futuri dello spettacolo?
Il 4 abbiamo lo spettacolo al Manzoni, ma di tappe ne abbiamo fatte altre. È da un anno che siamo in giro, la cosa carina è da quando abbiamo iniziato ne è venuto fuori un libro “Se vuoi dirmi qualcosa, taci”, è una frase di una madre ebrea che dice al figlio. Edito da La nave di Teseo. Questo è uno spettacolo scritto. Abbiamo tradotto quello che dicevamo nello spettacolo e ne abbiamo fatto un libro.
Domanda finale ma doverosa: perché venire a vedervi?
Ci sono tante cose migliori da fare, però… Uno può venire perché si passa un’oretta e un quarto dove ci sono delle narrazioni. È divertente insomma. Ah si, e poi un’altra cosa che ho imparato da Moni sai qual’è? Che quando si incontrano un ligure e un ebreo, la cena la paga il ligure.
INFO:
“Un ebreo, un ligure e l’ebraismo. Dialogo tra un ebreo e un ligure sull’umorismo” – Teatro Manzoni, Milano
4 Ottobre 2021, ore 20,45
Biglietti: Prestige € 25,00 – Poltronissima € 23,00 – Poltrona € 18,00
Poltronissima Under 26 anni € 18,00
Orario: 20.45
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