La giovane regista Emma Seligman firma il suo esordio nella cinematografia internazionale con un breve film dal nome Shiva Baby. Disponibile in Italia sulla piattaforma streaming Mubi (è possibile iscriversi anche tramite Prime Video), Shiva Baby, mentre esibisce la sua indole multiforme, racconta al pubblico una vicenda dal ritmo comico che, spesso, sfocia in terrificanti tinte horror. È un lungometraggio da camera in cui la macchina da presa guida lo spettatore lungo i corridoi stretti di un’abitazione, assoluta protagonista del film ma, allegoricamente, s’insinua fastidiosamente nelle insicurezze di una giovane ragazza. Il titolo, già eloquente, mischia in maniera provocatoria “Shiva”, ossia il termine che indica il funerale nella religione ebraica, con la parola “baby”, derivata dall’espressione “Sugar baby”. Quest’ultima si riferisce al fenomeno di incontri che coinvolge donne molto giovani con uomini più adulti e abbienti. Tale accostamento rende profano ogni tipo di pretesa spirituale: Shiva Baby decostruisce una ricorrenza religiosa e la spoglia della sua valenza sacra grazie ad una messa in scena cinica, sarcastica e, talvolta, spaventosa, dei difetti dell’animo umano.
La studentessa dell’Università, Danielle (Rachel Sennott), prova a schivare le attenzioni e i fastidiosi appunti dei suoi parenti e del suo “Sugar Daddy” al funerale di una zia a cui è stata costretta a partecipare dai suoi genitori. Durante la veglia, Danielle scopre che uno degli uomini con cui si intrattiene per denaro, Max, è un amico di famiglia, sposato e con figli e contemporaneamente s’imbatte, con passiva ostilità, nella sua storica ex Maya e nella diffidente madre. La protagonista, per l’intera durata della funzione, cerca di destreggiarsi tra le domande scomode dei parenti e degli amici, i commenti espliciti sul suo peso o su suoi gusti, toppando ripetutamente di soddisfare le loro richieste. Terrorizzata dall’idea che la sua attività nascosta possa essere rivelata, Danielle agisce in modo tale da ricevere attenzioni erotiche da Max poiché spinta dal desiderio di possederlo ma, allo stesso tempo, alimentando sospetti nella sua frigida moglie (Dianna Agron). Dall’altra parte i genitori sembrano ansiosi nel proporre ai loro amici, la narrazione fittizia di Danielle, come una ragazza studiosa e di successo, ignorando, quasi di proposito, di riconoscere le sue autentiche passioni e i suoi più intimi bisogni. Infatti, il dislivello tra aspettative e realtà nell’ambito lavorativo, in quello scolastico così come nelle relazioni affettive e sessuali, genera in Danielle una profonda frustrazione, mascherata, però, da una finta sicurezza e un velo di indifferenza.
All’interno di questa cornice, Danielle diventa emblema di una generazione che, agli occhi dei padri, pare persa, forse svogliata, senza punti di riferimento ma che, sotto un altro aspetto, quello dei giovani, è più energica che mai. Shiva Baby presenta un’alternativa alla logica retorica dell’essere sempre vincenti: mostrarsi diversi non coincide con il fallimento quando fallire non è sempre un fatto negativo. Danielle è nata ebrea ma non sempre si riconosce nel percorso di religione che gli altri hanno previsto per lei, Danielle desidera donne e uomini e rifiuta l’ideale di bellezza propinato dai modelli occidentali. Sceglie quello che vuole fare con il suo corpo, tanto giudicato dai familiari, dimostrando il suo desiderio di libertà. Un corpo recepito in quanto involucro di errori: gli sbagli perpetrati dalla protagonista, durante la funzione, corrispondono a quelli della vita reale, un’ esistenza sengnata dai tentativi di raggiungere la stabilità. Danielle è una di quelle ragazze interrotte su cui tanta narrazione cinematografica ha ideato delle storie, ma Danielle rappresenta un grido d’aiuto di una generazione che non vuole essere riconosciuta solo per il lavoro che fa. Shiva baby, in questa ottica, mostra esattamente quale è la piaga della società odierna: identificare un individuo attraverso la sua occupazione, i suoi successi scolastici o le sue relazioni amorose. Danielle, sembra mancare gli obiettivi preposti dalla sua famiglia e dalla società in toto: questo però, non la rende una perdente, piuttosto ne rivela la natura umana.
“Shiva baby” riesce a reggere l’attenzione del pubblico per l’ora e mezza di proiezione benché non presenta punti di svolta espliciti e venga girato quasi interamente in un unico luogo, una casa: questo grazie ad una recitazione realistica e ad una estetica visiva che rispecchia l’interiorità della protagonista. Il film visualizza l’alienazione e la disillusione derivate dalla dissociazione emotiva in ogni aspetto della vita. Shiva baby assume le sembianze del genere horror mediante musiche extradiegetiche incalzanti e a una fotografia più cupa in corrispondenza con i momenti di maggiore difficoltà della protagonista. La macchina da presa rivela il lungo e un claustrofobico percorso tra le vie di una casa, verso la riappropriazione delle fragilità, di una ragazza ebrea.
Se però, anche voi, siete un giovane pubblico che continua a commettere errori su errori mentre fatica a far quadrare la sua vita, il terrificante Shiva baby risulta alquanto consolatorio. Nel caos della gioventù e del futuro, il vostro disordine emotivo interno ed esterno è quello di tutti noi, trascende nazionalità, religione genere o etichette. Alla fine della giornata come, Danielle, vorremmo solo essere ascoltati.
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