Il film Belive me: The Abuction of Lisa McVey, disponibile su Netflix, ricrea il drammatico frammento di vita di Lisa Mcvey quando, solo diciassettenne, è stata rapita e aggredita sessualmente da Bobby Joe Long, il serial killer più ricercato di Tampa, da cui è riuscita miracolosamente a scappare.
Quella di Lisa, interpretata dalla sublime Katie Douglas, è una storia triste fin dal suo esordio: vive con la nonna che permette al suo compagno di abusare sessualmente di lei e la madre, consapevole di tutto, le ricorda oggi giorno che quella è la vita migliore che possa avere. L’unica luce, seppur distante, è sua sorella e quel lavoro in un piccolo negozio di ciambelle che tanto adora.
Mentre le sue coetanee vivono di spensieratezza, Lisa tornando dal lavoro a notte fonda si gira tutte le volte che sente dei fari troppo vicini e pedala più velocemente al rumore di ogni macchina, cercando di scappare da quella minaccia che, senza tardare, la raggiungerà.
Una sera, rientrando a casa, viene rapita da un uomo che per giorni abuserà sessualmente di lei. Per 25 interminabili minuti di film siamo chiusi in uno scantinato a vivere quello che sembra essere un incubo, e invece è stata la sua realtà: siamo lì con una piccola ragazzina bendata e con le mani legate, costretta a stare con un uomo che abusa di lei tutte le volte che ne ha voglia. Siamo lì, e sentiamo ogni sporco respiro, viviamo ogni notte insonne, percepiamo ogni pianto colmo di disperazione.
In uno scantinato umido in cui le pareti trasudano sofferenza, Lisa studia nel dettaglio ciò che ha attorno e cerca con coraggio di avvicinare emotivamente il suo rapitore portandogli un bicchiere d’acqua all’occorrenza, scusandosi per tutte le donne che l’hanno trattato male, toccandogli dolcemente il viso mentre lui la violenta.
L’incubo finisce quando il rapitore decide che è arrivato il momento di liberarsi di lei: come se avesse un modus operandi, la mette in macchina, la porta ad un albero, la fa girare e gli punta la pistola alla nuca. Ma non sparerà, perché Lisa con astuzia in 26 ore è riuscita ad instaurare un rapporto con il suo potenziale assassino che ne è valso la sua salvezza.
Scampata ad una morte certa, rinasce davanti a un albero: da lì corre verso casa della nonna che sconfesserà ogni sua parola riducendo un vero trauma in uno stupido capriccio da teenager. La sfiducia della nonna si trasforma in un pregiudizio della polizia che dubiterà delle parole di Lisa, finché non entra in scena il secondo eroe di questa storia, il sergente Larry Pinkerton (David James Elliot), l’unico a non aver mai messo in dubbio la sua storia e ad averla accompagnata nella ricostruzione di un evento drammatico che salverà molte altre vite.
Lisa McVey, infatti, non era solo una piccola ragazza vittima di un uomo, era anche e soprattutto una donna estremamente intelligente, coraggiosa e con una memoria talmente lucida che, grazie a tutti i dettagli registrati nella sua mente, ha fatto catturare dalla polizia uno dei serial killer più ricercati a Tampa Bay, nonché il suo rapitore, Bobby Joe Long (nel film Belive me Rossif Sutherland). Se la sua fermezza e ingegnosità durante il rapimento le hanno garantito la salvezza, la sua impeccabile memoria è riuscita a dare giustizia alla morte di altre 10 donne vittime di Bobby Joe Long, oltre ai circa 50 stupri commessi dallo stesso prima di arrivare a Tampa Bay.
Belive me: The Abuction of Lisa McVey è, prima di ogni altra cosa, un messaggio di forza: ci ricorda quanto sia importante non mollare mai, cercare sempre di trovare un modo per andare avanti, anche quando ci troviamo in un momento di vita del tutto ostile alla speranza. Se Lisa si fosse fatta trascinare dagli eventi, sarebbe rimasta una vittima senza diventare mai il testimone chiave per la risoluzione di altri 10 omicidi e non avrebbe potuto dare un briciolo di giustizia e dignità alla morte e agli abusi di altre donne che, purtroppo, non hanno mai più avuto voce per farlo da sole.
Oggi Lisa McVey è vice sceriffo dello stesso dipartimento che ha arrestato il serial killer di Tampa, Bobby Joe Long, giustiziato nel 2019 mentre Lisa era lì, in prima fila, con indosso una maglietta che ritraeva l’albero davanti cui, a diciassette anni, aveva ricominciato a vivere.
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