“Drive”, il film di Nicolas Winding Refn che lanciò Ryan Gosling, compie 10 anni. Con un cast di prim’ordine – tra gli altri, Carey Mulligan, Albert Brooks e Bryan Cranston – resta tutt’oggi una perla del cinema. Tratto dall’omonimo romanzo di James Sallis, “Drive” vinse il Premio alla miglior regia al Festival di Cannes del 2011. Uscito nelle sale statunitensi il 16 settembre 2011, la famosa colonna sonora fu curata da Cliff Martinez.
Il protagonista della storia è un operaio che lavora sia in un’officina automobilistica sia in film hollywoodiani come stuntman; a volte, si offre volontariamente anche come guidatore al servizio di rapinatori di banche. La sua regola è che i rapinatori hanno esattamente cinque minuti entro i quali muoversi: se eccedono il tempo stabilito, lui non è assolutamente responsabile delle possibili conseguenze. Nonostante sia un personaggio solitario e taciturno, la sua personalità e il suo sguardo magnetico riuscirebbero a mettere in subbuglio anche il più temerario dei capi clan di Los Angeles (città in cui vive).
L’autista, però, conserva anche un lato più tenero che emerge soprattutto quando si trova in compagnia della sua vicina di casa, Irene.
Drive è un film che ti toglie subito il fiato. Il prologo consiste in un inseguimento automobilistico che vede schierata una macchina della polizia contro una comune automobile, guidata da un comune cittadino californiano. La polizia ignora che alla guida dell’auto ci sia un autista davvero inusuale, scaltro e dal sangue freddo. Un uomo che, all’occorrenza, può anche camuffarsi grazie alla sua giacca indossabile su entrambi i lati, tanto che il gioco è presto fatto: qualora scampasse alla polizia, infatti, nessuno potrebbe sapere chi è realmente, forte di un anonimato di ferro. Questo personaggio ha il volto angelico di Ryan Gosling, l’attore forse più “inopportuno” per un film di Nicholas Winding Refn, capace tuttavia di indossare uno sguardo così agghiacciante da diventare meritatamente divo di Hollywood.
Successivamente, fanno la loro comparsa i titoli di testa, tutti rosa e scritti in corsivo: sullo sfondo si stagliano i “luccicanti” grattacieli di Los Angeles, e nel frattempo sentiamo suonare una canzone synthwave che accresce molto il pathos iniziale.
“Drive” è stato la consacrazione definitiva per molti degli attori protagonisti, a cominciare dallo stesso Ryan Gosling che esordì, nel 2004, con il film romantico “Le pagine della nostra vita“, tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks. Gosling da allora non ha smesso di sorprendere pubblico e critica, collezionando film di estremo successo quali “Blue Valentine” e “Come un tuono” (entrambi diretti da Derek Cianfrance), passando per “Blade Runner 2049” e “La la land”, diretti rispettivamente da Denis Villeneuve e Damien Chazelle.
Lo stesso si può dire di Carey Mulligan, che nel 2005 esordì nel ruolo di Kitty in “Orgoglio e pregiudizio”, diretto da Joe Wright, e che ultimamente ha ammaliato i critici e gli spettatori di tutto il mondo con la sua interpretazione de “Una donna promettente”, diretto da una esordiente Emerald Fennell.
Lo stesso vale, naturalmente, anche per il noto volto di Bryan Cranston, che ricordiamo per aver recitato in ruoli indimenticabili, sia nella televisione (Hal in “Malcolm in the middle”, Walter White in “Breaking Bad”) sia nel cinema (Stan Grossman in “Little miss sunshine” e Dalton Trumbo in “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo”).
Esprimere un giudizio su un film così emblematico non è cosa semplice. L’opera di Winding Refn si caratterizza per una “calma” apparente, rotta da alcune brevi esplosioni di proiettili o da schizzi di sangue e pestaggi vari. In ogni inquadratura c’è un po’ di luce e un po’ di ombra, metafora emblematica dell’ambiguità di tutti gli esseri umani, che non sono quindi o solo buoni o solo cattivi. Di seguito, l’estratto da un’intervista fatta a Bryan Cranston che, in “Drive”, ha ricoperto i panni di Shannon, il capo dell’officina in cui lavora l’autista anonimo.
“Quando ho letto “Drive” per la prima volta, il ruolo di Shannon era quasi come quello di Burges Meredith in “Rocky”, mentre c’è ancora un po’ di quell’elemento della relazione mentore-protetto con il mio personaggio e l’autista. (…) Nicolas era incredibile, nella sua collaborazione, infatti ha insistito perché lo rendesse tuo [il personaggio]. Così, ci siamo riuniti tutti nel suo soggiorno e ne abbiamo parlato e, a causa di quell’apertura, vai a casa e inizi a sognare ad occhi aperti sul personaggio: mi svegliavo dalla mattina e avevo un altro paio di idee che volevo presentare”.
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