Cinema

La ragazza ha volato di Wilma Labate al Cinema di Venezia. Recensione

Wilma Labate ha presentato nella sezione Orizzonti Extra un film sceneggiato con Damiano e Fabio D’Innocenzo. La ragazza ha volato racconta la storia di Nadia (Alma Noce), un’adolescente ‘scomoda’ che vive a Trieste, città di confine tra tante culture, un luogo spazzato da un vento potente, in cui la protagonista cresce coltivando una solitudine che la porta a vivere in una dimensione di isolamento. Chiusa nel suo mondo la ragazza non ha amici, un giorno per caso incontra un ragazzo che sembra gentile e le offre un gelato al bar.
I due passeggiano insieme e fanno conoscenza e questo in apparenza sembrerebbe l’inizio di una tenera storia romantica e adolescenziale, ma qui non si tratta della storia di una coppia ma di una persona, Nadia, e del rapporto con se stessa.
L’incontro con il ragazzo sfocia in uno stupro e da questo evento ne viene una gravidanza indesiderata che Nadia, oltre al dolore per il trauma subito, dovrà affrontare.

Il film sembra voler prendere diverse direzioni, dall’incontro iniziale sembra che la storia si voglia concentrare sul tema della violenza sulle donne con Nadia che non rivelerà mai a nessuno di essere stata vittima di uno stupro, per passare poi all’approccio della ragazza verso la vita e alla sua maturazione dal momento in cui decide di tenere il bambino.

Si tratta di un film che potremmo definire contemplativo delle emozioni, non è una questione di azioni o di progressione della narrazione, l’occhio della regia sta addosso alla protagonista fino a penetrare nel profondo dei pensieri ed emozioni.
Nadia non parla quasi mai e quando lo fa le sue parole trattengono il dolore, non sorride quasi mai e quando lo fa c’è tanta malinconia mista a solitudine.
I genitori sono distratti, troppo presi da se stessi non guardano alcun dettaglio che riguardi la figlia e paradossalmente la prima persona che la guarda davvero è chi ne abuserà.

Nella messa in scena di La ragazza ha volato trovo però che molti degli spunti si perdano un po’ e che forse manca un maggiore approfondimento dei personaggi di contorno.
Potenzialmente il film potrebbe prendere diverse strade ma si sceglie di restare sempre sulla protagonista senza mai farla interagire davvero con nessuno e per questo si sente una certa carenza nell’azione.

Tutte le altre figure intorno a lei sono solo ombre, poco utili alla vita del personaggio che procede da sola per la sua strada. Per esempio la figura dello stupratore è l’indifferente per eccellenza, il suo comportamento bipolare tendente al patologico dimostra continuamente che per questo ragazzo quanto accaduto sia normale, egli non prova alcun senso di colpa e questa cosa rende il personaggio a dir poco urticante. Così come tremendamente fastidiosi sono i genitori, altro prototipo di indifferenza che, soprattutto nella prima parte della storia non sono di alcun aiuto alla figlia.
Anche la sorella di Nadia che potrebbe essere l’unico appiglio in realtà sembra non avere polso in questa situazione.
Così il grigio della città di Trieste diventa rappresentativo del grigio dei sentimenti di Nadia e della rabbia repressa e silente che alberga dentro di lei.
Dov’è quindi il punto di svolta di questa storia? Sta proprio nella gravidanza indesiderata e nella nascita di un nuovo amore, quello che la ragazza avrà per il bambino.
L’odio e la violenza si trasformeranno quindi in amore e speranza per il futuro attraverso il piccolo arrivato.

Il volo che quindi ci si aspetta che la ragazza compia non ha luogo e in questo caso il volo diventa un proiettarsi nel futuro.

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