Serie TV

La Direttrice, la nuova serie Tv con Sandra Oh non è la satira che pensate che sia. Recensione

Arriva come una manna dal cielo sugli schermi, Sandra Oh è esilarante nei panni del capo dipartimento di letteratura inglese in questa leggera e vivace parodia sulla vita accademica, La Direttrice è un piccolo gioiellino da non perdersi assolutamente.

La Direttrice, nuova serie in sei parti di Netflix, creata da Amanda Peet e Annie Julia Wyman, vede la Oh interpreta la professoressa Ji-Yoon Kim, appena stata nominata prima donna presidente del dipartimento di letteratura inglese alla Pembroke University. Ci si accorge fin da subito che questa posizione è un boccone avvelenato, la Pembroke non se la passa meglio di qualsiasi altra università nel cercare di attirare studenti verso la più liberale delle arti liberali, nel convincere il suo staff antiquato a stare al passo con i tempi o ad andare in pensione. Ji-Yoon si mette subito al lavoro, mentre affronta anche le difficolta come madre nel cercare di capire i limiti di sua figlia adottiva Ju Ju (Everly Carganilla, questa più unica che rara giovane creaturina è uno spasso sia come personaggio che come attrice) e gestire le crescenti complessità della sua relazione con la sua cotta, il docente Bill Dobson (Jay Duplass), di cui adesso è anche il capo.

All’interno del dipartimento c’è il tipo di politica che ogni accademico nella vita reale conoscerà fin troppo bene: l’intransigente ex grande professore – in questo caso Elliot Rentz, interpretato da Bob Balaban – inorridito da ogni nuovo pensiero, iniziativa o movimento nato da quando è passato il suo periodo d’oro. Il preside (David Morse) fa lo stesso gioco, minando i tentativi della Kim di promuovere la giovane professoressa nera di talento Yaz McKay (Nana Mensah). Un menzione speciale per anziana statista Joan Hambling (Holland Taylor, forse nella più bella performance della sua leggendaria carriera) la cui enorme personalità non riesce mai a superare la cattedra e i suoi alunni sono in calo, ma noi possiamo vedere cosa viene oltre l’insegnante, la donna, quella donna con un talento sconfinato che ha affrontato per tutta la sua carriera una sordida e pungente discriminazione di genere. Tutti all’interno del campus sono ai ferri corti, con rancori l’uno verso l’altro e verso il mondo.

Tutto questo è sapientemente gestito da Peet e Wyman, permettendo loro di condensare in ogni episodio de La Direttrice – di solo mezz’ora ciascuno – una pletora di questioni. Dal razzismo, al sessismo alle discriminazioni, a nuove e più scivolose situazioni come la cultura dell’annullamento, lo scontro tra praticità lavorativa e sogni ideologici, domande su chi ha l’autorità e molto altro. La maggior parte di queste dinamiche si scatenano quando, durante una lezione, Bill viene registrato dai suoi studenti, in un frammento di video decontestualizzato, mentre ironizza sul saluto nazista in una lezione che ben presto diventa virale e scatena le proteste degli studenti nel campus. Si scuserà? Dovrebbe? Gli studenti lo ascolteranno? Dovrebbero?

Ne La Direttrice il grande risultato è che niente di tutto questo sembra scontato o strumentale, accade tutto come un’esplorazione genuina, una discussione drammatizzata delle differenze e delle divisioni intergenerazionali che pochi cercano di prendere in considerazione ed esaminare con reale interesse. Nonostante ci si renda subito conto che i temi affrontati sono importanti e di valore, la serie è estremamente divertente, è leggera e l’umorismo, dal gusto estremamente ricercato, sta nelle conversazioni tra amici, in momenti come l’amorevole flirt tra Joan e Bill ad una terribile festa del dipartimento, non in gag scontaste e già sentire. Ci sono dei passaggi che forse per comprenderli a pieno bisogna rivederli due volte, come quando la piccola Ju Ju sfoglia il libro “The Family of Man“, “La famiglia dell’uomo” a Bill mentre lui le sta facendo da babysitter. Lei fa una breve pausa durante il suo resoconto rispetto alla riproduzione umana per dargli dei consigli su come allestire un altare a casa sua in modo che l’anima della defunta moglie possa trovarlo, per poi torna al libro con la stessa passività emozionale, “Stiamo per”, dice stancamente, “vedere un altro pene”. Il problema di base per gran parte della vita.

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