“I figli del diluvio” di Lydia Millet è la denuncia di un sistema che vede la fragilità umana al suo centro. La storia di questo gruppo di ragazzi e dei relativi genitori durante una vacanza è una sorta di esperimento sociale che dimostra l’urgente bisogno di speranza di fronte al disastro ambientale ed umano. Una visuale forte ed ironica su uno scenario delicato che molto a che vedere con la realtà attuale.
Una finestra sulla realtà: ecco cosa significa avere tra le mani “I figli del diluvio”, edito da NN Editore. Affacciarsi e sperimentare uno scenario fuori dal comune, che tanto lontano dall’attualità forse non è. “I figli del diluvio” di Lydia Millet è esattamente una finestra, un tracciato critico sul mondo e su ciò che può accadere. A livelli paradossali, contro ogni aspettativa. Tra le sue pagine si assiste a un’evoluzione particolare e a tratti destabilizzante della vicenda, un susseguirsi di azioni che non sembrano seguire una direzione precisa. Un gruppo di ragazzi e le relative famiglie decidono di trascorrere le vacanze separatamente tra loro (figli da una parte, genitori dall’altra) ma nello stesso luogo di villeggiatura, dando avvio ad una serie di sviluppi particolari. Dinamiche relazionali, familiari, di gruppo che sottolineano quanto la situazione esterna influenzi il comportamento dei personaggi. Nel bel mezzo della vacanza un uragano improvviso travolge e colpisce diverse parti del paese, mandando in tilt la vita quotidiana e il corso tranquillo degli eventi. Il soggiorno di tutto il gruppo viene interrotto, la situazione precipita e ciascun personaggio si trova alle prese con una devastazione che sembra non trovare tregua. I ragazzi tentano di trovare delle soluzioni, si spostano, si imbattono in un pericoloso gruppo di malviventi. Vengono sequestrati, provano a reagire alle conseguenze di un disastro che non trova fine. Vari sforzi di sopravvivenza e interruzioni che portano ad un finale- riflessione.
“I figli del diluvio” è una storia netta e asciutta, lapidaria nei dialoghi, ironica e forte nei suoi passaggi più cruciali, capace di far emergere temi importanti e non di facile trattazione. Tra questi, la contrapposizione tra i figli e i genitori. I primi dalla tempra ribelle e arrabbiata, gli unici che la Millet nomina per nome, decisi e decisivi, diversi ma alleati. I secondi invece denominati genericamente come “il genitore” o “i genitori”, sono in prede alla deriva comportamentale, con la passione per l’alcol e la droga, lontani dalla consapevolezza reale della situazione che li circonda. E dei loro figli compresi.
Un dualismo che emerge nelle azioni e nei pensieri di ognuno, nelle scelte e nell’attenzione all’altro da sé. I figli arrabbiati, risolutivamente testardi, fanno squadra. I genitori sono concentrati su se stessi, sul loro sballo immediato e non si rendono conto. A mio avviso questa è la chiave per leggere l’intero romanzo: il rendersi conto di quello che sta accadendo, che è proprio lì ma fatica a rendersi visibile, il rendersi conto di chi ci è accanto, delle fragilità del contesto, dell’irreversibilità di determinate scelte. “I figli del diluvio” è il romanzo che obbliga alla verità cruda ed evidente della realtà, non è un percorso esclusivo dei protagonisti, è una presa di coscienza anche del lettore che sperimenta lo stravolgimento, il susseguirsi di una parabola discendente descritta da Evie, una delle ragazze del gruppo, voce narrante lineare e spiazzante.
I confronti continui e le battute segnalano il divario esistente tra i protagonisti e la lontananza inesorabile del mondo conosciuto, rassicurante fino a quel momento. Il diluvio spazza via lo scontato, la superficialità piatta lasciando il vuoto esistenziale, l’abbandono, la ricerca della sopravvivenza. Non resta più nulla del prima.
I figli non sembrano tali ma adulti con le spalle troppo piccole per resistere, i genitori non sono più adulti ma persone alla deriva, senza più la consapevolezza del proprio ruolo, della propria identità, di se stessi. Il cambio delle parti, la spersonalizzazione del ruolo tipico, l’assenza del noto. L’evento negativo che porta a galla il peggio ma anche qualcosa in più. In questo scenario risaltano le figure di due bambini che sanno andare oltre l’evidenza dei fatti con genuinità e semplicità: Jack in particolare, fratello minore di Eve e l’amico Shel, che utilizza la lingua dei segni nonostante sia capace di comunicare verbalmente.
L’autrice sceglie questi due bambini per raccontare una linea parallela di pensiero, un’interpretazione completamente diversa sui fatti. Dio, la Bibbia, la natura: Jack sa intravedere in essi delle spiegazioni alternative, ingenuamente profonde e riflessive. Quando tutto sembra essere perso, emerge una piccola luce che illumina ciò che era sempre stato nascosto, ignorato e lasciato da parte. Nasce la forza flebile e instancabile della speranza che Evie sa accogliere e nutrire. Questa storia fuori dal comune può insegnare tanto, nonostante la sua narrazione essenziale e diretta e la varietà dei personaggi. Lucidità e ironia tratteggiano la caducità delle cose, il cambiamento naturale, la crudeltà umana, l’evoluzione dei rapporti, le conseguenze estreme di strade sbagliate, il valore dell’innocenza.
Selezionato tra i migliori dieci libri del 2020, “I figli del diluvio” è la denuncia schietta di un sistema logoro, di abitudini insufficienti e della ricerca di una via diversa per affrontare le problematiche. Lydia Millet evidenzia come sia importante un approccio diverso, uno sguardo rinnovato come quello di Evie e Jack per andare incontro al domani. Un domani frutto di scelte personali che potrebbe rivelarsi inaspettato e addirittura mortale per il suo fautore. La speranza e la consapevolezza sono le ancore per il posto sicuro a cui restare aggrappati e fedeli quando le cose potrebbero peggiorare.
Lydia Millet tratteggia una finestra su una realtà paradossale, ai limiti dell’irreparabile per diffondere un messaggio che sa di positività e di nuove possibilità. Una piccola fiammella in mezzo al buio opprimente dell’incertezza e della paura.
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