Oggigiorno tutti conosciamo i celeberrimi “Tagli” di Lucio Fontana e li consacriamo globalmente come una pietra miliare della storia dell’arte moderna italiana e non solo. Pochi sanno però che questo espediente, questo insieme di performance, pittura e scultura elaborati in circa un decennio che va dal 1958 al 1968 abbiano avuto uno straordinario successo non solo nelle arti visive, ma anche in quelle che una volta sarebbero state chiamate arti applicate, ossia il design e la moda più in generale. Il legame infatti tra l’artista milanese e la nascente moda “moderna” si nutre di un reciproco rispetto ed interesse, senza sfociare in imitazioni, brutte copie o fraintendimenti di sorta.
Assistiamo ad un Lucio Fontana inedito ai più e soprattutto totalmente assente in quasi tutti i manuali, più o meno approfonditi, di storia dell’arte. Anzitutto i cosiddetti “Tagli”, sovente denominati anche “Concetti spaziali” o “Attese” (singolare o plurale a seconda nel loro numero sulla tela), sono degli squarci creati dall’artista stesso per mezzo di lame o taglierini, inflitti sulla superficie, precedentemente colorata monocroma per mezzo dell’idropittura.
Da un semplice gesto però si possono rintracciare significati e analisi ben più profonde rispetto alla banalità dell’opera creata. Intanto il gesto di per sé rientra in una performance di ampio respiro in cui l’artista o l’attore gesticola, si muove, agisce sulla superficie creandone un’apertura; in secondo luogo questo taglio, o plurimi tagli, innestano una connessione tra il dentro e il fuori, tra ciò che sta di facciata e ciò che dietro non si può vedere, un varco (per riprendere le parole di Montale), che ci mette in collegamento con l’assoluto, con ciò che prima, a tela tirata e intonsa, non ci era dato vedere, metaforicamente lo sconosciuto e l’intangibile; il buio e la luce si mettono ora in contatto.
Queste tele alla fine risultano quindi sempre più indistinte nell’essere definite pitture o sculture. Non va dimenticato però che l’uso del taglio viene ripreso anche in scultura di ceramica o maiolica, conseguentemente cotta con colori omogenei e a dripping.
Partendo da qui, il salto nella moda fu breve: fra il ’57 e il ’67, l’artista disegna diversi gioielli, anelli, bracciali, spille con tagli, buchi e pietre preziose, creando pezzi unici, alcuni firmati altri (la maggior parte) non firmati.
Altra interessante collaborazione è invece con l’atelier di Giuseppe Telese e Bruna Bini a Milano, realizzando tre abiti nel 1961: tre tubini con tagli ai lati, di fronte o a forma tonda all’altezza del ventre.
Lucio Fontana è altresì presente in opere di altri designer e stilisti: da ricordare davanti a tutti la sua amica Mila Schön, la quale riprende la gestualità del taglio o del buco, da imprimere questa volta, non più sulla tela o sull’argilla, ma sulla stoffa e sui tessuti più in generale. Vediamo abiti di alta moda da sera o per eventi mondani, o cappotti da giorno più sobri e meno appariscenti.
Dopotutto il confine che questa arte del taglio pone tra le arti per così dire tradizionali e le moderne arti applicate quali moda e design oramai è pressoché inesistente e Lucio Fontana stesso ce lo dimostra manifestandoci in prima persona una curiosità e un rispetto che pochi artisti prima di lui hanno dimostrato, mettendosi in prima persona nella creazioni di “manufatti” che non erano destinati a finire in gallerie o musei ma proprio nei guardaroba delle signore dell’alta società.
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