Mohamedou Ould Slahi ha passato oltre 10 anni nella prigione di Guantánamo, dopo essere stato arrestato sulla base di un sospetto: senza nessuna prova e accusa ufficiale da parte degli Stati Uniti, è stato detenuto per presunta collaborazione agli attentati terroristici dell’11 settembre. Il film The Mauritanian di Kevin Macdonald, disponibile su Prime video, narra in modo crudo e senza veli la storia di un innocente che passa più di 10 anni in una prigione subendo torture fisiche e psicologiche per qualcosa che non ha mai fatto.
Mohamedou Ould Slahi viene sottratto dal suo paese, la Muritania, e arrestato perché sospettato di aver partecipato all’attacco terroristico dell’11 settembre a seguito di una telefonata ricevuta dal cugino terrorista dal telefono satellitare di Osama bin Laden.
Dopo 8 anni di reclusione, entra nella sua vita l’avvocato Nancy Hollander (Jodie Foster), che con tenacia cerca di ottenere per Mohamedou Ould Slahi (interpretato da Tahar Rahim, che abbiamo già incontrato nella serie tv The sepent) l’habeas corpus, ma non senza portare il peso di brutti giudizi sulle spalle. Correndo il rischio che il suo cliente si riveli effettivamente colpevole, Nancy prende il suo caso pro bono, senza pensarci troppo: lo fa perché, come afferma più volte nel film The Mauritanian, “Ogni uomo ha diritto ad una difesa”. Non è la prima volta che Nancy difende lo stato di diritto, ma è la prima volta che la sua scelta etica-lavorativa ha un grande rimbombo mediatico: quando ha difeso pro bono uomini accusati di omicidio, non è stata chiamata assassina; quando ha lavorato per casi di stupro, non è stata chiamata stupratrice, ma questa volta, su tutti i giornali, lei è “l’avvocato terrorista”. Nancy si dimostra essere una donna forte, tenace, in grado di saltare a piedi pari oltre l’odio delle persone a favore dei propri principi, ma non tutti riescono a trovare facilmente la stessa spinta: la sua collaboratrice Teri (Shailene Woodley), quando legge la confessione del loro cliente Slahi, è già da mesi che subisce violenze psicologiche da parte dell’opinione pubblica e dei suoi cari per rappresentare la difesa e, per un attimo, lascia il caso. Quello che non ci abbandona mai durante il film, invece, è la tenacia di Nancy e la luce negli occhi di Slahi che, fino alla fine, ci tengono incollati allo schermo confidando nella giustizia.
Dopo aver aperto innumerevoli scatole e aver letto altrettanti documenti -la maggior parte classificati e quindi non visionabili da imputati e avvocati- Nancy scoprirà che la confessione di collaborazione rilasciata da Slahi è tutt’altro che autentica. I documenti svelano una cruda realtà: la confessione è stata indotta dopo 70 giorni nei progetti speciali, sotto ordine del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, in cui Slahi viene sottoposto a torture, privazione del sonno, passando ore in posizioni di stress e subendo violenze sfrenate. Questa scoperta apre un grande spacco di realtà che smuoverà gli animi sia della difesa che dell’accusa: dall’altra parte di Nancy, infatti, troviamo il colonnello Couch (Benedict Cumberbatch), il volto dell’America che cerca giustizia dall’attacco terroristico dell’11 settembre. Il colonnello Couch, però, crede profondamente che la dignità umana sia inviolabile, e quando legge delle misure speciali a cui è stato sottoposto il detenuto, capisce che le confessioni controfirmate sono state fatte sotto coercizione violando la costituzione, e lascia il caso perché contro ogni suo principio etico e cristiano.
Alla fine del film, Nancy e Teri riescono a far ottenere a Slahi un processo in cui, con grande sensibilità, invece di aggrapparsi alla rabbia per tutto ciò che aveva ingiustamente subito nei confronti dello stato americano che ha deluso le sue aspettative di avere una legge che protegga, Mohamedou Ould Slahi perdona. Il discorso di un uomo che alle ingiustizie e alle violenze subite risponde perdonando tocca le corde del cuore di tutti: in fin dei conti, Mohamedou è un uomo qualunque che ha ricevuto una telefonata nel momento sbagliato e si è trovato a dover affrontare anni di immensa sofferenza, svegliandosi ogni mattina consapevole della sua innocenza. Ma l’amministrazione Obama non ha rinunciato a fare appello, e Slahi dovrà aspettare ancora 6 anni prima di fare rientro nella sua terra, la Mauritania.
Il film The Mauritanian è una storia di ingiustizia, torture e pregiudizi, sfortunatamente vera. Tutto è documentato dal libro di Mohamedou Ould Slahi uscito anche in Italia sotto il titolo 12 anni a Guantánamo che raccoglie tutte le lettere scritte nei lunghi anni di prigionia. Il film ci getta in uno stretto e isolato spazio colmo di sofferenza, la base militare di Guantánamo in cui i titoli di coda certificano che su 770 detenuti solo 8 sono stati ufficialmente condannati. Nancy nel film lo capisce e ce lo spiega: la prigione di Guantánamo è così lontana per cercare di tenere a distanza i carcerieri e i detenuti che sono testimoni dei trattamenti disumani e contrari alla costituzione americana avvenuti dopo l’11 settembre e Mohamedou Ould Slahi ne è una voce importante da ascoltare, perché nei suoi scritti ci racconta la vita di un innocente che, tra molti altri, viene detenuto senza assistenza legale in un luogo distante dalla legge e dai diritti umani.
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