“La stupidità strategica. Come costruire successi fallimentari o evitare di farlo”. Recensione
Alla base de “La stupidità strategica“, ultimo libro di Giorgio Nardone, allievo di Paul Watzlawick, c’è una verità: “il virus della stupidità è democratico”.
In questa nuova opera edita da Garzanti, lo psicologo Giorgio Nardone ci mette di fronte a una triste verità: il virus della stupidità è democratico, ovvero è “ben distribuito a tutti i livelli della umana capacità”. Nardone confessa senza peli sulla lingua che “anche ai migliori capita di inciampare nella stupidità”.
Per questo motivo, l’autore ha deciso di spiegare cos’è e cosa non è la “stupidità strategica”, prima delineando i percorsi con cui arriviamo a “infettarci” e poi fornendo le indicazioni su “come costruire successi fallimentari o evitare di farlo”.
Prima di tutto in La stupidità strategica, Nardone ci mette in guardia dall’uso comune che si fa del vocabolo “stupido”. È sbagliato, infatti, ritenere un individuo dagli atteggiamenti stupidi una persona stolta e minorata, quantomeno perché molte delle persone che hanno avuto derive verso la stupidità erano uomini e donne superdotati intellettivamente, o famosi condottieri e personaggi politici che in qualche modo hanno lasciato il segno nella Storia che tutti noi conosciamo. Perché, come già detto, il virus della stupidità è democratico: nessuno gli sfugge.
Fatta la premessa, l’autore fornisce tuttavia un ulteriore chiarimento. “Se possiamo perdonare a chiunque un scivolone nella stupidità, non possiamo di certo tollerarne il sistematico e ripetuto esercizio, perché è questo ciò che la rende davvero pericolosa e distruttiva”. Nardone fornisce la spiegazione di ciò appellandosi alla definizione etimologica della parola “stupidità”: il termine deriva infatti dal verbo latino “stupere” che significa essere colto da stupore. Dunque, stupido è colui che “si irrigidisce nella sua posizione, incapace sia di cambiare le proprie vedute sia di ammorbidirle perché prigioniero dell’incanto del suo persistente stupore“.
Dunque, come evitare di cadere nella trappola che ci siamo costruiti noi stessi? Il fatto è che, tenuto conto dell’importanza – se così si può dire – che la stupidità ha avuto nella storia evolutiva dell’essere umano, è sufficiente adottare la “proposta metodologica strategica” fornita da Nardone, grazie alla quale potremo “evitare la persistente e indisponente ottusità”, rinnovando i nostri punti di vista senza farne l’unico perno della nostra vita.
Questa proposta consiste innanzitutto nel non parlare mai di ciò che non si conosce. “Si può trattare solo di ciò di cui si è davvero competenti, ossia dell’ambito del sapere nel quale si può competere con i migliori”. Se, infatti, continuiamo a opporci ostinatamente agli altri, spinti unicamente dal desiderio di contrastare per vincere indisturbatamente, allora staremmo creando i presupposti dei successi “fallimentari” da cui Nardone vuole metterci in guardia. Nient’altro che “episodiche manifestazioni di imbecillità” causate, per l’appunto, da una “indisponibilità a correggere i piani, i quali vengono difesi con protervia, anche di fronte al loro fallimento, come prove di determinazione e resilienza”.
Poi, bisogna sforzarsi di produrre risultati lungimiranti, anziché effimeri. “Lo stupido strategico, focalizzato sull’immediato benessere, è incapace di prevedere gli effetti futuri e, anche quando ci riesce, ne sottovaluta la portata, autoingannandosi per privilegiare il ‘meglio subito'”.
Infine, rendersi capaci di empatia e compassione. Di nuovo Nardone fornisce una spiegazione più che elementare ma mai così brillante. “L’egocentrismo esasperato che connota la stupidità strategica impedisce di immedesimarsi nell’altro, il sentirne le emozioni, i bisogni, i desideri, così come le sofferenze e i disagi”. Il rischio che può derivare da questa cecità non è altro che la trasformazione in un perfetto “egoista fallimentare”, il quale non si renderà mai conto che “per ottenere il massimo per sé dagli altri occorre farli sentire importanti, apprezzati e offrire loro disponibilità e cure affettive”.
Ovvero, “il saggio egoismo coincide con il sano altruismo”.