“Ma Rainey’s Black Bottom” è il film Netflix di George C. Wolfe, con un cast dall’interpretazione unica capace di far rivivere la passione dolorosa e feroce del blues di Ma Rainey. Ma non solo: il film è lo spaccato di un mondo diviso, dettato dall’appartenenza, tra l’essere bianchi e neri. I dialoghi sono centrali e le parole toccano riflessioni importanti, anche per l’oggi. Il dolore si trasforma in passione, in musica… Viola Davis e Chadwick Boseman, nella sua ultima interpretazione, fanno vivere due personaggi unici ed eccezionali. Un film che vale la pena di vedere.
La passione nasce da una sofferenza interiore, viscerale che scava dentro il corpo, l’anima e fa fuoriuscire un’energia, una carica sconosciute. La passione è sofferenza trasformata, elaborata, vissuta. È il blues che viene cantato da dentro, dal cuore di chi sa soffrirlo fino in fondo, costantemente. Guardare “Ma Rainey’s Black Bottom” porta esattamente a sentire il blues e la passione in modo travolgente, vero, doloroso. Il film di George C. Wolfe, con Denzel Washington come produttore, viene lanciato il 25 novembre 2020 negli Stati Uniti, disponibile su Netflix, è l’adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale di August Wilson del 1984. È ambientato nell’estate del 1927 a Chicago: Ma Rainey (Viola Davis), considerata la “Madre del Blues”, deve registrare un nuovo disco presso il produttore Sturdyvant (Jonny Coyne). La sua band, formata dal trombonista Cutler (Colman Domingo), il trombettista Levee (Chadwick Boseman), il bassista Slow Drag (Michael Potts) e il pianista Toledo (Glynn Turman), in attesa dell’arrivo della cantante, si trovano presso gli studi di registrazione e, tra loro, innescano una serie di conversazioni singolari e profonde. Le ambientazioni del film non sono numerose: sono le stanze degli studi a predominare come setting, dove all’interno avvengono dei passaggi e dei dialoghi importanti. Su tutti spicca Levee che vorrebbe emergere, predominare sugli altri entrando spesso in conflitto con le scelte e le parole dei compagni. Dal canto suo Ma Rainey, arrivata con un’ora di ritardo, accompagnata dal nipote Sylvester (Dusan Brown) e dall’amante\fidanzata Dussie Mae (Taylour Paige), dimostra sin da subito di avere carattere e di dettare le sue precise decisioni con i suoi modi quasi da diva e la sua forte volontà. Il pezzo che più si dimostra difficoltoso da incidere è “Ma Rainey’s Black Bottom” per via dell’introduzione di Sylvester in quanto balbuziente e per le sottili dinamiche che si creano tra i componenti della band, il manager Irvin (Jeremy Shamos), il produttore e la stessa Ma Rainey. Il finale eredita l’impatto da scena teatrale e lascia, personalmente, sgomenti ma con la testa colma di riflessioni, di domande.
“Ma Rainey’s Black Bottom” è un film sull’appartenenza, sull’essere neri e bianchi, sulla divisione e la discriminazione negli atteggiamenti e nelle credenze diffuse. I dialoghi da seguire con attenzione sono diversi, incentrati sul passato, sulla difficoltà di vivere, sull’essere nero ed essere perciò un “avanzo” per il resto del mondo. Sull’impossibilità di avere un mondo migliore. Il giovane e ambizioso Levee si dimostra profondamente segnato da un’infanzia caratterizzata dalla violenza, subita dalla madre che ha portato alla morte il padre. Convinto di poter formare da solo un proprio gruppo, scrive musica, seduce Dussie Mae, litiga con Ma Rainey che lo licenzia dalla band. Questo vissuto forte, traumatico rivive in parole e in descrizioni dall’impatto emotivo non indifferente. La sofferenza di Levee passa nelle azioni, nei suoi modi di fare, nei suoi atteggiamenti quasi al limite come quando minaccia con un coltello Cutler, parlando direttamente “al suo Dio”. Un monologo dai toni accesi, esagerati, colmi di disperazione e rabbia. Lo stato d’animo che lo porta all’azione finale.
L’altro personaggio di primo piano è Ma Rainey, ferocemente tenace e determinata, dalla voce unica, consapevole del suo ruolo, della posizione conquistata e dei suoi obiettivi. Ricco di spunti è il suo dialogo con Cutler. È una donna dai comportamenti quasi capricciosi, istrionici ma sempre attenta all’ambiente esterno, ai suoi limiti e alla realtà vera. Non si lascia intimorire e decide anche di fronte alle richieste di Irvin e di Sturdyvant. Nonostante i suoi modi, Ma Rainey sa cos’è la sofferenza, l’ha toccata con mano, ne ha sentito i segni e per questo riesce a cantarla, trasmettendo passione vera e conturbante. Non è superficialità o transitorietà, ma sentimento autentico, attraversato, espresso con tutta l’anima che lo trasforma in blues. Quel blues che l’ha resa la sola e l’inimitabile. Ma Rainey e la sua band sono circondati da un contesto che non li vuole, non li considera se non per uso strumentale, come oggetti procura- soldi e non li vede come persone con una dignità e una vita. E le conseguenze ci sono: gli sguardi giudicanti, la distanza, le ingiustizie, le violenze, la lotta continua per sopravvivere, l’inferiorità e la disuguaglianza. “Ma Rainey’s Black Bottom” è il ritratto di una donna che canta il dolore e lo fa rivivere nella musica, apprezzata ma incompresa dai bianchi. È lo spezzone della vita della sua band che sa esattamente com’è la realtà dei fatti all’esterno. Ed è la dimostrazione del disprezzo e del senso di superiorità dei bianchi in una società escludente e classista. Un’appartenenza scritta in regole ingiuste, discriminatorie che pone le persone in due barricate. I “bianchi” e i “neri”, i “noi” e i “loro”, i “giusti” e gli “sbagliati”, gli “inferiori” e i “superiori”. L’ultima scena esemplifica questa dicotomia, con un gruppo di bianchi che canta, ordinatamente diretto e composto.
Il film è ambientato nel 1927 ma, forse, non siamo poi così lontani da certe dinamiche. Ascoltare alcuni passaggi, determinate battute dove all’interno, tra le pieghe retoriche sottili, si annida l’odio e l’impossibilità di un’altra scelta, di una convinzione diversa aiuta a riflettere, ad essere consapevoli della storia e delle conseguenze di precisi sistemi di pensiero.
Tutto questo è anche merito dell’interpretazione eccezionale del cast: Viola Davis straordinaria nei modi sfrontati, negli sguardi e nelle grandi movenze, con abiti scintillanti, il trucco appiccicato al viso sudato e lo spirito eccentrico agguerrito, passionale nel suo pieno significato. Chadwick Boseman tormento e ribelle, nella sua ultima, toccante interpretazione, regala un’emozione colma di sentimento, altalenante e fuori controllo visto il suo personaggio complesso. Ironia e ambizione abbinate a dolore, disperazione, tragicità. Un condensato di bravura generale che al film ha portato due Oscar nel 2021 (Miglior costumi e miglior trucco) e diverse candidature.
Tutti gli attori hanno saputo ben dosare le caratteristiche e le personalità dei propri personaggi, in una cornice scenografica fissa, facendo emergere una realtà drammatica sulle note di quello che, per Jimi Hendrix, è “semplice da suonare ma difficile da provare”. Il blues, in “Ma Rainey’s Black Bottom”, diviene colonna sonora e ricchezza, passione incontrollata, sofferente fino all’ultimo tramutata in parole cantate dal cuore.
Un film stupendo che dice molto sulla società passata sulla contemporaneità. Una storia pienamente umana, autentica, ferocemente vera, vissuta, consumata in un mondo di dolore ingiusto. Esattamente come fu per la vera Ma Rainey.
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