Cinema

Il treno per il Darjeeling: il viaggio fisico e spirituale di tre fratelli. Recensione

Dopo Rushmore e I Tenenbaum, Wes Anderson confeziona nel 2007 Il treno per il Darjeeling, commedia con sfumature drammatiche che affronta la tematica tanto cara al regista: una famiglia disfunzionale. Tre fratelli, Peter (Adrien Brody), Francis (Owen Wilson) e Jack (Jason Schwartzman) che, dopo la morte del padre di cui cercano costantemente l’approvazione, organizzano un viaggio in India per ritrovare sia la madre che il rapporto che avevano un tempo. Il film si configura come un lungo viaggio attraverso il Darjeeling, metafora del viaggio interiore che i tre fratelli compiranno per affrontare il legame morboso con la figura paterna e con loro stessi.

Il treno per il Darjeeling ha tutte le caratteristiche tipiche del cinema andersoniano: la cura simmetrica delle inquadrature, la costruzione di ogni scena, personaggi sfaccettati, bambini in corpi adulti, conflitti interiori e scene quasi surreali. I tre fratelli, inizialmente in conflitto tra loro, in possesso di segreti taciuti, poco alla volta si aprono sia tra loro che allo spettatore, senza mai chiarire del tutto la loro storia: molti i riferimenti a oggetti ed eventi del passato che non vengono mai esplicitati, dando quasi un senso di universo narrativo chiuso dall’interno, che non vuole farsi vedere, scoprire completamente dal pubblico.

Nella sua breve durata (circa 90 minuti) Il treno per il Darjeeling si prende il suo tempo, quasi divagando negli eventi e nei meandri del viaggio, mostrando personaggi di sfuggita (c’è un Bill Murray di passaggio), avvenimenti in sordina, restituendo un fluire delicato della storia, costantemente abbracciata da un senso di casualità, proprio a significare l’imprevedibilità del viaggio interiore.

Il finale, in parte risolutore, è una piacevole metafora della liberazione dal peso della figura paterna e dai grovigli dell’animo che accompagna lo spettatore, tenendolo in bilico, con un piede dentro il vivo e sfaccettato mondo andersoniamo e con l’altro ben saldo alla realtà, restituendo tanto una commedia quanto un’opera densa di significati, affrontati con la tipica leggerezza del regista.

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