“Il caso Spotlight” non è solo un film, è una testimonianza diretta e vera dell’inchiesta condotta dal gruppo di giornalisti “Spotlight” sugli abusi, perpetrati da una serie di sacerdoti, subiti da numerosi minori a Boston. Basato su una storia vera, il coraggio e la determinazione di “Spotlight” portano a galla una verità troppo grande, aprono le porte all’inganno, al silenzio consapevole, al male più profondo. Un mondo parallelo a lungo nascosto dalla Chiesa e da chi sapeva. Un film drammatico e necessario dove, forse, l’unica parola che salva e lenisce l’anima è “verità”.
Basato su una storia vera. Questa è la pesante e drammatica realtà che “Il caso Spotlight” descrive, una verità che lascia sgomenti e fa pensare. Il film uscito nel 2015 è diretto da Tom McCarthy ed è attualmente disponibile sulla piattaforma Netflix.
Basato su una storia vera significa che i fatti, le persone, le sofferenze sono e sono state reali, vissute, accadute senza possibilità del contrario. Questo, si sa, è un concetto scontato ma davanti a questo film tutto diventa diverso, drammaticamente vero, fin troppo, tanto da desiderare che sia solo un film e niente di più.
Siamo nel 2001, il gruppo di quattro giornalisti d’inchiesta Spotlight formato da Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams), Matty Carroll (Brian d’Arcy James) e Walter ‘Robby’ Robinson (Michael Keaton) del Boston Globe, su richiesta del nuovo direttore Martin Baron (Liev Schreiber), indaga e porta alla luce un enorme rete di abusi e violenze sessuali perpetrati da una serie di preti nei confronti di bambini e ragazzini, appartenenti soprattutto a famiglie povere e con difficoltà. L’indagine prende avvio da iniziali e sporadici articoli, riguardanti in particolar modo il caso di padre Geoghan tra gli anni Sessanta e Novanta, apparsi sul giornale stesso. Il primo passo è un’istanza in tribunale contro la Chiesa con la conseguente apertura del vaso di Pandora su tutta quanta la scioccante questione. I quattro giornalisti, guidati da Baron e da Ben Bradlee Jr (John Slattery) mettono da parte l’inchiesta su cui stavano lavorando e avviano un approfondimento a tutto campo: contattato Phil Saviano (Neal Huff), membro di Snap un’associazione di persone abusate sessualmente da religiosi quando minori, ricercano vittime e testimoni, parlano con gli avvocati difensori dei preti all’epoca dei fatti. La ricerca è vasta e fornisce un quadro devastante, più di quanto si aspettassero all’inizio: i potenziali religiosi colpevoli solo a Boston sono circa una novantina e allo stesso giornale, in passato, erano stati recapitati documenti che già attestavano la presenza di casi di pedofilia nelle parrocchie e nelle chiese della città. Le scoperte che si susseguono, le piste che a mano a mano si aprono andando a fondo, gli strani cambi improvvisi dei religiosi, le voci delle vittime e di chi ha il coraggio di farsi avanti portano a galla una realtà sconvolgente. Tra insabbiamenti, documenti privati nascosti dalla Chiesa, muri di omertà e silenzio, favoritismi e falsità, i quattro di “Spotlight” lotteranno e daranno il massimo per riuscire a denunciare il sistema.
Alla fine, si tratta di questo: di un sistema malato e compiacente, con a capo alcuni prelati della Chiesa, tra cui il cardinale Bernard Francis Law, sacerdoti, famiglie in difficoltà, avvocati, persone che sapevano ma non hanno fatto nulla. Il cosiddetto “tutti ne erano a conoscenza, ma…”. Una piramide, un sistema che ha permesso e mantenuto per anni gli abusi e le violenze sessuali su tanti, troppi bambini e ragazzi, annullandone la vita. “Il caso Spotlight” diventa testimonianza e denuncia, il racconto di come andò realmente e la dimostrazione di come il silenzio e la manipolazione abbiano causato sofferenze inimmaginabili. A colpire maggiormente è la tenacia di questo gruppo di giornalisti che ha continuato, bucando la spessa coltre di inganni e ha ridato voce alla verità, alla dignità. Credendoci fino in fondo, credendo nel proprio lavoro. Questa importante inchiesta valse al Boston Globe il Premio Pulitzer nel 2003 e due premi Oscar al film nel 2016 (Oscar 2016), come miglior film e migliore sceneggiatura originale a Josh Singer e Tom McCarthy. Questo a dimostrazione della portata significativa di quanto scritto e testimoniato sia al Boston Globe sia sulla pellicola. Una realtà vera che fa riflettere.
“Il caso Spotlight” ha permesso una maggiore conoscenza di una piaga nella Chiesa che è stata fin troppo nascosta e perpetrata, Tom McCarthy ha il merito di aver messo in luce l’accaduto con veridicità e aderenza ai fatti, senza giudizi, contenuti o posizioni di pensiero personali. Il film è ancorato alla scia degli eventi, si basa sulla realtà così com’è avvenuta e, a mio parere, questa è una delle più grandi sfide per il cinema. La storia vera riproposta che vuole essere testimonianza, documentazione dell’accaduto. Questo traguardo è stato raggiunto e portato a termine grazie ad un cast dall’interpretazione riuscita e sentita emotivamente, da un Mark Ruffalo agguerrito, da un Michael Keaton composto, in grado di tenere le fila del quadro. Centrale è stato calarsi nel vissuto vero dei giornalisti e dei personaggi realmente esistiti.
“Il caso Spotlight” mette in evidenza due dimensioni: i casi di pedofilia in America messi in atto da membri della Chiesa e occultati da una parte di essa e il grande spirito combattivo del vero “Spotlight”, che ha fatto della verità la sua missione. Nonostante le mille difficoltà, i limiti, le chiusure, il tacito consenso. Questo film mette a nudo quel lato del mondo malato, fatto di persone che compiono il male e di altre che lo permettono (non a caso l’inizio si apre con un flashback emblematico), di alcuni che accettano negando e di altri che tralasciano, mettono da parte, non si accorgono. E poi ci sono coloro che non si arrendono all’evidenza e vanno a fondo. “Il caso Spotlight” è dedicato a loro, alla verità che spaventa e sovverte l’ordine imperante, alla determinazione di proseguire in nome delle vittime, del loro dolore, della vita. Vedere questo film porta alla consapevolezza che la verità può liberare, può lenire le profonde ferite dell’anima. La verità va cercata, voluta, pretesa perché è l’unica cosa che resta quando tutto è distrutto.
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