Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e premio della Giuria al Festival di Cannes nel 2018, BlacKKKlansman segna un nuovo punto alto nella filmografia di Spike Lee. America anni ’70, il primo poliziotto nero di Colorado Springs Ron Stallworth (John David Washington) viene invitato sotto copertura a un raduno delle Black Panthers, per poi ritrovarsi, quasi per caso, a infiltrarsi nel Ku Klux Klan con l’aiuto del suo collega bianco ed ebreo Flip Zimmerman (Adam Driver) per sventarne un possibile attacco terroristico e fermarlo dall’interno. Spike Lee torna in piena forma sulle tematiche politiche a lui tanto care, con un film in pieno stile blaxploitation, a metà tra il dramma e la commedia.
John David Washington (anche Protagonista di Tenet) porta su schermo una delle sue migliori interpretazioni, con un Ron Stallworth sopra le righe, con una caratterizzazione quasi caricaturale grazie a colori sgargianti e capelli afro che contribuisce ad aumentare e sottolineare l’assurdità della storia vera (anzi, “basata su fatti fottutamente reali” come tiene a specificare Spike Lee in apertura) di un afroamericano che riesce a spacciarsi come suprematista bianco al telefono con il leader del Ku Klux Klan. Non da meno Adam Driver con il suo Flip Zimmerman, ebreo che si presenterà di persona agli incontri del Klan, dando corpo alla voce telefonica del suo collega.
In BlacKKKlansman, Spike Lee si “diverte” anche con la metacinematografia a tracciare il contesto culturale di un’America non totalmente passata, aprendo il film con la scena di Via col vento dei soldati confederati feriti come sfondo a una campagna di denuncia verso le minoranze etniche, passando poi al racconto del linciaggio di Jesse Washington del 1916 e infine mostrando Nascita di una nazione di David Griffith, film che nel 1915 suscitò numerose critiche politiche. I fatti passati servono a Spike Lee per fare l’eco e rimarcare come nel mondo odierno certe idee ancora non siano state superate, criticando sottilmente le politiche di Trump e i moti suprematisti ancora esistenti.
Un’opera di alto livello che, mascherata da commedia nera, riesce a portare su schermo un importante e articolato discorso politico, facendo saltar fuori le contraddizioni e la pericolosità di certe ideologie, senza però dare un vero e proprio lieto fine, ma una vittoria mutilata molto più realistica e descrittiva dei tempi attuali, tra la condanna al razzismo e il suo contemporaneo insabbiamento.
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