Il quaderno delle parole perdute. Pip Williams e il suo romanzo sull’importanza delle parole dimenticate
Pip Williams e il suo romanzo di esordio “Il quaderno delle parole perdute”, caso letterario del 2020, edito in Italia da Garzanti è un romanzo che, prendendo spunto dalla storia vera della nascita dell’Oxford English Dictionary scrive un inno all’importanza delle parole e dei libri. Un inno al diritto delle donne di rivestire un ruolo centrale nella cultura e nella società. Una storia che unisce al fascino intramontabile dell’ambientazione accademica di Oxford e Cambridge un messaggio di potente attualità.
Ma iniziamo con la sinossi ufficiale. Oxford. Lo Scriptorium nel giardino segreto del Professor Murray è il luogo preferito della piccola Esme. Lì, nascosta sotto un immenso tavolo di legno, ruba parole scritte su bianchi fogli. Parole che il padre lessicografo scarta mentre redige il primo dizionario universale. Più Esme cresce, più capisce che le definizioni che non compariranno nel lemmario ufficiale hanno qualcosa in comune: parlano delle donne, del loro modo di essere, delle loro esperienze. Parlano della sorellanza, dell’amore che non è solo possesso, dell’essere compagne in una lotta comune. Escluderle significa non dar loro una voce, guardare il mondo da un unico punto di vista, soffocare possibilità e speranze. Eppure c’è chi fa di tutto per farle scomparire per sempre. Anni dopo, Esme è determinata a fare in modo che questo non accada. Per tutta la vita ha collezionato quelle parole con l’intenzione di proteggerle, perché ha un sogno: scrivere un dizionario delle donne, che restituisca a ciò che è andato perduto il rispetto che merita. Per farlo deve combattere contro chi non la pensa come lei.
“Il quaderno delle parole perdute” è un romanzo complesso e delicato che ripercorre la situazione femminile tra la fine dell’800 e gli inizi del nuovo secolo. È difficile renderne a parole la profondità e l’intensità. La sinossi ufficiale quasi non gli rende merito; partendo da un fatto storico realmente accaduto, ossia la scoperta nel 1906, da parte di un semplice lettore, che nel nuovo Oxford English Dictionary mancava una parola: bondmaid (giovane schiava), l’autrice ha costruito un universo di temi intersecati. Il quaderno delle parole perdute è un inno alle parole, ma non solo: è un inno a quelle parole scartate perché usate solo nella lingua comune e quindi non ritenute attendibili; quelle che delineavano la figura femminile di fine Ottocento e dunque considerate non adeguate a entrare nel Dizionario perché troppo forti, volgari o inutili. Sono le parole sentite al mercato, nelle strade, nei teatri, dove le donne hanno una vita parallela e silenziosa e tentano di essere notate, apprezzate e ascoltate. La storia si svolge negli anni in cui una ragazza può studiare, ma non conseguire il diploma né la laurea; gli anni in cui nell’ambiente universitario o giuridico le figure femminili non partecipano attivamente ma hanno sempre e solo un ruolo di assistenti; sono gli anni delle suffragette e della richiesta del voto femminile e di una guerra mondiale che cambierà per sempre il paese. Tutti questi temi sono sperimentati attraverso il vissuto della protagonista Esme, bimba orfana di madre, figlia di un lessicografo impegnato nella stesura del nuovo Oxford English Dictionary, che la cresce con l’aiuto di Lizzy una delle governanti del professor Murray per il quale lavora.
La storia personale di Esme colpisce sicuramente per la tristezza di alcuni episodi e la fatica con cui ha dovuto sopravvivere in un società maschilista e socialmente impastoiata, ma è anche la storia di un personaggio che lascia l’amaro in bocca, perché Esme cresce, ma non evolve, è “bloccata” spesso sulle proprie priorità tanto che i personaggi interessanti e più sfaccettati, che potrebbero narrare qualcosa di quell’epoca, vengono mostrati solo in funzione dell’utilità che hanno per lei. L’autrice ne voleva fare una donna che lotta per le altre, ma le occasioni in cui le capita di poterlo fare, si dimostra reticente, timorosa e quasi “costretta” all’azione da altre figure più forti e più carismatiche di lei, come Mabel, con cui la vita è stata particolarmente accanita, l’amica Tilda, sempre sopra le righe e con il desiderio di appartenere a qualcosa di più grande, Lizziy, devota e comprensiva, perno che tiene Esme ancorata alla realtà. Esme che con il suo bisogno di definizione incarnale contraddizioni che una donna dell’epoca poteva vivere nella dicotomia tra subire la tradizione o vivere la rivoluzione.