Una donna promettente: abusi sessuali, vendetta e redenzione. Recensione
Esordio alla regia per Emerald Fennell (già nota come attrice in The Crown e The Danish Girl) che con Una donna promettente porta a casa l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale e altri svariati premi e candidature. Spicca l’interpretazione della protagonista Carey Mulligan (Cassie), assieme a quella di Bo Burnham (Ryan) e Chris Lowell (Al Monroe), ma risulta interessante l’intera scelta del cast, meritevole di qualche osservazione più avanti. Cassie è una promettente studentessa di medicina che lascia gli studi a seguito di un terribile avvenimento che la turba profondamente: la sua amica Nina viene violentata da Al Monroe, suo compagno di corso, e il suo gruppo di amici ma, una volta denunciato l’accaduto, Nina non viene creduta a causa delle sue abitudini festaiole, portandola successivamente alla morte. Cassie avrà costantemente il chiodo fisso di vendicare l’amica, inizialmente fingendosi ubriaca e adescando uomini che vorrebbero approfittare di lei, per poi spaventarli, ma ben presto gli eventi evolveranno in maniera inaspettata.
Nessun’altra parola sarà spesa sulla trama per evitare rivelazioni che rovinerebbero una sceneggiatura così peculiare su una tematica così delicata (tematica simile trattata ne Il sospetto di Thomas Vinterberg), che non offre morali banali o semplicistiche dicotomie bene/male, ma personaggi complessi e ben articolati, imperfetti nel conseguire i loro obiettivi, così umani nella sofferenza da sembrare reali. Sia l’evoluzione della storia che il finale (soprattutto il finale!) lasciano una forte sensazione di amaro in bocca, con nessun vincitore totale, di quelli macchiettistici che trionfano sul male per alleviare l’animo del pubblico, ma offre il conto salato di una realtà che fa terra bruciata, lasciando anche i vincitori profondamente distrutti.
Nota di merito per una regia riuscita e ispiratissima, con inquadrature dai chiari rimandi allegorici che tessono un sottotesto di significato che accompagna dolcemente lo spettatore, ma senza risultare invasivo ai fini della comprensione. La fotografia gioca un ruolo fondamentale, con colori pastello e patinature portate all’estremo per mettere in scena il conflitto ancora più forte, più perturbante di un mondo solo apparentemente buono e gentile, ma che cela insidie, pericoli e ipocrisie tra le pennellate di colore acceso di un quadro sgargiante, ma dalla tela marcia.
La scelta del cast non è casuale, quasi tutti gli attori hanno il physique du role della “faccia d’angelo” o hanno all’attivo interpretazioni di personaggi positivi, quasi come accadeva nello star system hollywoodiano degli anni ’40 e’50 (a titolo d’esempio Hitchcock fu costretto dalla produzione a cambiare il finale de Il sospetto in quanto Cary Grant non poteva essere il cattivo, icona ai tempi dell’uomo ideale). Una donna promettente sovverte l’immaginario collettivo che una persona all’apparenza buona lo sia necessariamente e che solo i tipi loschi in impermeabile e coltello siano cattivi, mostrando come il marcio possa nascondersi ovunque, senza cadere nella banalità di mostrare una malvagità didascalica, ma subdola, accresciuta e sostenuta dall’omertà e dall’opinione comune.
Un’opera prima da recuperare assolutamente, sia per l’attualità della tematica che per la maestria artistica con cui è stata confezionata. Una donna promettente è un continuo gioco di stili e generi diversi, passando dalla commedia al dramma con salti delicati e leggeri (leggerezza non equivale a frivolezza, ma planare sulle cose dall’alto come direbbe Calvino), che non annoia ma anzi sorprende con un continuo evolversi delle tematiche (che poteva tristemente sfociare in un manifesto propagandistico e stereotipico sull’argomento della violenza sessuale e del ruolo di genere), portando sempre più tasselli a un puzzle che, una volta risolto non regalerà la tanto desiderata catarsi, ma mostrerà un’amara realtà.