“Tante care cose. Gli oggetti che ci hanno cambiato la vita” di Chiara Alessi, edito da Longanesi, è un libro sugli oggetti-fantasma del design italiano. Chiara esordisce nel 2014 con il libro “Dopo gli anni Zero. Il nuovo design italiano” edito da Laterza, a cui sono seguiti rispettivamente “Design senza designer”, “Prince. Il corpo del figlio” e “Le caffettiere dei miei bisnonni”. Si riafferma perfetta conoscitrice e teorica di design con “Tante care cose”, un libro sugli oggetti-fantasma del design italiano caduti nell’oblio, ma non per questo meno importanti di quelli che hanno avuto più fortuna.
Il sottotitolo di questo imperdibile saggio è paradossale, poiché avrebbe dovuto chiamarsi piuttosto “Gli oggetti che NON ci hanno cambiato la vita”. Infatti, la sua originalità è dovuta alla celebrazione – più che mai affettuosa e solenne – degli oggetti più fallimentari di sempre. Di uso casalingo, commestibile oppure urbanistico, sono tutti dei fantasmi morti sul nascere. Ce lo preannuncia lei stessa nel prologo, dichiarando di aver voluto parlare di oggetti “fantasma” per restituirci “la sorpresa che ha avuto nel rinvenire le origini di alcune di queste cose che (le) sembravano senza tempo e senza spazio”.
Ma allora che aspetto hanno questi oggetti-fantasma? Anche questo è volutamente esplicitato nell’introduzione, come se fosse necessario pregustare l’ignoto attraverso le ricerche di Chiara. “Sono cose fisiche, cose grafiche, sono cose anonime, sono cose di firma che non lo sembravano, sono invenzioni, soluzioni, adattamenti: sono cose grandi come un autogrill o piccole come un chiodino”.
Inoltre, a venirci incontro nel tentativo di prefigurare la loro fisionomia reale è Paolo D’Altan, l’illustratore del libro. Paolo si è occupato dei bozzetti delle “tante care cose”, rigorosamente tenute in bianco e in nero, in quanto l’autrice desiderava esaltarle più “i processi che le hanno generate o che hanno determinato, che per gli esiti in sé”.
I disegni hanno la peculiarità di parlare per sé, facendoci viaggiare in continuazione dal passato al presente, e brillano di una luce propria per quanto possano sembrarci tutto fuorché appartenenti al design.
È il caso, per esempio, di un noto pilastro ad alta tensione alla cui origine c’è una severa sconfitta, una sconfitta che non gli ha comunque impedito di restare scolpito nella memoria collettiva. A volte bastava accedere a un concorso indetto da Enel Distribuzione per vedersi legittimare un progetto di vita, come accadde per il traliccio ideato da Michele De Lucchi e Achille Castiglioni nel 1998.
Per altre, invece, non era necessario attendere la concorrenza. È stato questo, infatti, il caso del “juicy salif”, uno spremi agrumi disegnato da Philippe Starck per conto dell’imprenditore Alberto Alessi, mentre si trovava in un ristorante a Caprera. Quello che doveva essere un vassoio d’acciaio diventò un moscardino rigonfio posizionato su dei “tentacoli” di metallo, ma era destinato a naufragare in poco tempo. Tuttavia, la dedizione sfrenata di un designer francese è bastata a dare l’immortalità a un oggetto che non è mai uscito dalla bidimensionalità di un tovagliolo. Questi e molti altri sono i retroscena esilaranti delle tante care cose.
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