La strage di Ardea: una tragedia che poteva essere evitata? È una domenica di giugno qualunque, o perlomeno così potrebbe sembrare. David e Daniele stanno giocando in un parco, felici e spensierati, ignari di quello che di lì a poco accadrà. Un giovane di 34 anni, Andrea Pignani, metterà fine alle loro vite e a quella di un anziano di nome Salvatore Ranieri, successivamente anche alla propria esistenza. È un tragico epilogo, di una soleggiata domenica, bagnata dal sangue.
Sono state formulate diverse ipotesi, riguardanti le ragioni di questo gesto. Inizialmente si è pensato che vi fossero dei motivi di rivalsa e di vendetta da parte del giovane, nei confronti del padre dei due bambini, legato ad una ipotetica lite, ma nulla di veritiero. Sono stati posti diversi interrogativi, sul perché un ragazzo solitario e problematico, avesse con sé un’arma e ne sono nati prontamente dei dibattiti, riguardanti restrizioni sul possesso e utilizzo delle armi, paragonando addirittura l’Italia alle stragi che con frequenza avvengono in America.
Si è parlato di gesta eroiche, da parte del povero anziano, che probabilmente, ha usato come scudo il suo corpo per proteggere i due bambini per cercare di salvarli dalla morte. Si è discusso di vittime e di carnefice. Ho letto, con profondo rammarico, termini come: psicopatico, serial killer e molto altro, da persone che evidentemente hanno cercato di dare una etichetta al giovane omicida. Come in ogni terribile vicenda, vi è spesso il tentativo di cercare di dare dei ruoli e delle etichette per ogni persona.
Per questo motivo, si è scavato nel passato di Andrea Pignani, sul fatto che fosse un ragazzo dalla personalità doppia, poiché usava sui social il nickname di Mr Hyde, come se un nickname, potesse definire appieno chi siamo realmente. Era un ragazzo di 34 anni, un ingegnere informatico, disoccupato e senza amici: una persona molto sola. Sul suo profilo aveva pubblicato una frase di Niestche, a mio avviso, molto significativa: ”Mai sazio, come la fiamma mi ardo e mi consumo, luce diventa tutto ciò che afferro”.
In passato, era stato redarguito per minacce nei confronti della madre e si ipotizza, avesse minacciato anche altre persone, ma non risulta alcuna denuncia sporta nei suoi confronti. Da un po’ di tempo a questa parte è nata la tendenza della caccia al mostro, con la complicità anche della psichiatria. Nell’immaginario collettivo, il mostro non è altro che il capro espiatorio, un essere da cui bisogna stare lontani e con cui non bisogna avere il minimo contatto, così come le favole ci hanno insegnato fin da bambini.
Io credo che in questa triste storia ci siano più vittime che carnefici, tante ipotesi e pochi riscontri reali. Ritengo che una persona non debba essere stigmatizzata per via dei propri problemi e soprattutto non deve venire abbandonata a se stessa. La condizione in cui viveva Andrea era ed è una delle tante in cui versano alcuni ragazzi e ragazze italiane. Una persona senza lavoro, e profondamente smarrita.
Ma a chi non capita di smarrire la via? Da quando sono stati chiusi i manicomi con la Legge Basaglia, i Centri di Igiene Mentale e i fantomatici TSO, di cui si sente parlare, hanno cercato di supplire e di supportare malamente la sofferenza psicologica. In Italia così come in altri Paesi rappresenta un duro traguardo quello di abbattere il muro di ostilità e di diffidenza nei confronti di soggetti che soffrono mentalmente. Mi viene da pensare a Rosso Malpelo, di Giovanni Verga. Per il sol fatto di avere i capelli rossi, veniva considerato come una persona da emarginare e portatore di guai. Credo che questo paragone, calzi a pennello.
Ci sono tanti Rosso Malpelo che possono causare guai a se stessi e agli altri, a causa dell’abbandono e della diffidenza. Il ”mostro” ha portato via la vita a tre persone, e poi a se stesso. Credo sia necessario riflettere sul ruolo delle strutture che dovrebbero curare e prevenire la salute mentale: più che imbottire di farmaci, bisognerebbe prevenire; più che parlare, occorrerebbe imparare ad ascoltare; più che additare, bisognerebbe comprendere.
Occorre comprendere la necessità di due bambini di andare liberamente a giocare in un parco, di un anziano di andare liberamente in bicicletta e di un giovane uomo di avere la possibilità trovare un posto all’interno della società. Parlo di miraggio se in un futuro sogno un mondo in cui episodi del genere non avvengano più e che le persone debbano piangano tragedie che avrebbero potuto essere evitate?
Il mio pensiero va ovviamente anche alla tre donne di questa storia: la madre di Daniele e David e la moglie di Salvatore. Due donne che hanno perso tragicamente i loro figli e una moglie che ha perso il proprio marito, al dolore immenso che avvolge i loro cuori. Una madre non vorrebbe mai perdere i propri figli prima della sua morte. Credo che invece di focalizzarsi semplicemente su una legge che restringa il possesso delle armi, occorra che venga riformato il sistema psichiatrico in sé. Non è necessario possedere una pistola o un’arma registrata per nuocere a qualcuno, giacché anche un altro oggetto potrebbe essere usato a mo’ di arma atta ad offendere. Non solo una bella riforma legislativa, ma anche il supporto e l’aiuto delle persone, potrebbe evitare queste tristi vicende. Perché “lo strano”, “il folle”, non è solo Andrea, ma potrebbe essere ognuno di noi.
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