Come i Futuristi hanno influenzato la moda, storia d’amore e battaglia
Come i Futuristi hanno influenzato la moda. Rimane ancora poco valutato l’innovativo approccio che alcuni esponenti del Futurismo, tra i più degni di nota tra l’altro, abbiano intessuto con la moda, quale tassello per una prospettata arte totale che coinvolgesse ogni aspetto dell’estro creativo dell’uomo.
È noto e risaputo il tentativo da parte degli artisti e intellettuali futuristi di costituire un movimento che non si limiti solo all’arte e all’ambiente culturale in senso stretto, ma che faccia vacillare il sistema pre-costituito dalle fondamenta con l’obiettivo di deteriorarlo e alla fine destituirlo con la loro nuova visione della vita e del mondo, tramite proprio una arte-totale o arte-vita, binomio amato dal più celebre dei suoi esponenti, Umberto Boccioni. Una società minata dalle sue manifestazioni visive, nella produzione letteraria, nell’attività motoria e proprio nel più prossimo degli espedienti per manifestare la propria identità, la moda.
Infatti, possiamo vedere un concatenarsi di tentativi, a partire dal Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti nell’edizione de Le Figaro del 1909, di immissione in altri territori dell’arte e della società, nonché quello del costume; esistono d’altronde i manifesti sulla danza, sulla musica, sui vari settori dell’abbigliamento, persino sulla cucina futurista. Di particolare interesse è però la loro insolita passione per la moda, e la sua centrale posizione come precursore di un modo di pensare e costituire l’abito che solo anni più avanti avrà modo di stabilizzarsi e prendersi i giusti riflettori che merita, non tanto nel mondo dell’arte ma nell’industria di moda.
Partendo dai loro soliti obiettivi come lo svecchiamento delle istituzioni e della cultura, la liberazione dell’uomo e della sua intrinseca energia soffocata (in questo caso proprio dai suoi abiti), il rifiuto del pacifismo e di ogni neutralismo, eccetera, questi creativi si impegnano a fornire utili istruzioni per esternare questo uomo-nuovo tramite colori, forme e materiali totalmente tralasciati, se non proibiti, dal buon costume a loro contemporaneo.
Dal più ampio Manifesto della moda femminile futurista, ai più mirati manifesti del cappello o della cravatta futurista, intelletuali come Tullio Crali, Vincenzo Fani (Volt), e i più famosi Marinetti, Govoni o Dottori si dedicano all’elaborazione di capi costituiti da materiali avanguardistici per l’epoca come carta, vetro, stagnola, alluminio, caucciù, pelle di pesce, stoppa, canapa, persino piante ed animali viventi (pressoché tutti susseguentemente impiegati nelle elaborazioni di pietre miliari della moda contemporanea come Alexander McQueen e Martin Margiela dagli anni ’80).
Le cravatte per esempio dovranno essere costituite da metalli riflettenti il cielo e la luce d’Italia, con un taglio corto e appuntito; mentre ci sarà un cappello per ogni umore ed esigenza della giornata. Sarebbe opportuno soffermarsi anche sul Manifesto Futurista di Giacomo Balla del 1914, nella pagina intitolata Il vestito antineutrale, in cui si sottolinea come l’abito futurista dovrà d’ora in poi dotarsi di aggressività, dinamicità, gioia ed igiene, semplicità e comodità, di colori sgargianti e luminosi (anche per il lutto), forme asimmetriche e pungenti, innovativi e intercambiabili per essere sempre sul pezzo ad ogni occasione.
Controcorrente invece è la concezione di tuta di Thayaht (Ernesto Henry Michahelles), pittore e scultore, disegnatore del prototipo “Tuta”, che gioca con la parola “tutta”, cioè un capo che copra interamente il corpo, rapido da indossare e pratico per ogni esigenza lavorativa e non solo, volendo poteva essere anche una divisa della quale gli stessi operai potessero essere orgogliosi, sfoggiandola non solo come uniforme da lavoro ma anche come costume identitario, con i suoi colori monocromi e sottotono, vestibili da chiunque.
Di rimarcabile successo questa “invenzione” è stata ben presto esportata nel mondo sovietico e apprezzata soprattutto nell’ambiente dei costruttivisti come Rodchenko e riprodotta in milioni di esemplari per decenni.
Questi sono solo alcuni espedienti del più universale approccio alla società e al costume che i futuristi hanno tentato di intraprendere, più o meno con successo, ma che sono visibilmente rimasti nella memoria dei nuovi protagonisti della moda che proprio da inizio novecento andavano ad affermarsi come Gabrielle “Coco” Chanel, Jean Patou, poi Emilio Pucci e Valentino Garavani, ai più recenti Antwerp Six e Hussein Chalayan.
Ad inizio novecento il mondo della moda era già in ebollizione, stanco del corsetto e del doppiopetto scuro, ma forse questa rivoluzione, ancora troppo ardita per i tempi da parte dei futuristi, passò in secondo piano, per essere poi ripresa almeno mezzo secolo dopo in modo plateale, diventando un fenomeno di risonanza mondiale.