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Sweet Tooth, questa dolcissima serie Tv Netflix è geniale… o terribile?

Netflix, con Sweet Tooth, cerca di rendere appetibile la pandemia con questo dramma fantasy su un esercito di bambini metà umani e metà animali nati dopo la comparsa di un misterioso virus letale. Vi inviterei a guardare questa serie con una mentalità aperta e, idealmente, con un bel drink nello stomaco e un altro a portata di mano, questo perché non riesco ancora a dire se è la cosa peggiore che abbia mai visto o la più grande opera concepita dal genere umano.

Per spiegare: Sweet Tooth è ambientata dieci anni dopo la pandemia nota come il “Grande Crollo”, un misterioso virus ha invaso il mondo, l’umanità è andata nel caos, un sopravvissuto spiega che non ci sono più né regole, né leggi e quando è saltato anche internet tutto e finito. Questo momento della serie merita una pausa per dieci secondi di preghiera ringraziando che il Covid non abbia mai colpito la copertura wifi.

Nello stesso periodo in cui è apparso il virus, dal nome HGS9 o più comunemente chiamato “l’afflizione”, che ha ucciso quasi tutta la popolazione mondiale, i bambini umani hanno iniziato a nascere sotto forma di ibridi animali. Che siano una mutazione del virus? Questo non è ancora dato saperlo, pertanto molte persone li guardano con timore e vorrebbero vederli estinti.
Il dottor Aditya Singh (Adeel Akhtar), la cui storia segue la seconda sottotrama, viene condotto in un reparto maternità da un’infermiera estremamente agitata, in seguito lo vediamo circondato di neonati a cui sono stati palesemente applicati effetti speciali pelosi, piumosi o spinosi, da qualcuno che lavora con entusiasmo ma (ahi noi) con un budget limitato. A volte sembrano carini e credibili, altre volte sembrano le maschere di carnevale in cartapesta. Il protagonista della serie Gus (Christian Convery) è metà cervo e metà bambino, lui è fatto bene. La storia inizia in diversi momenti, uno di questi è quando un uomo (Will Forte), si dirige a passe svelo fuori dalla città con in braccio il suo bambino cervo, Gus, direzione parco nazionale di Yellowstone, lasciandosi alle spalle un mondo che sta andando letteralmente in fiamme.

Gus crescere nei boschi con Pubba (così chiama il padre), nei dieci anni successivi, in una vita quasi da favola, impara a parlare, leggere, pescare e a ricavare lo sciroppo d’acero dagli alberi, di cui ne è particolarmente goloso (da questo dettaglio è tratto lo stupido titolo della serie, mannaggiammè quando sono andata a cercare la traduzione, preferivo immaginarmi una cosa più da favola). Il loro idillio però viene distrutto nel momento in cui uno degli ultimi uomini scopre la loro posizione.
Gli ultimi uomini sono un gruppo violento di adulti che ancora non hanno capito non esserci alcuna correlazione tra il virus e gli ibridi e nemmeno gli interessa capirlo, il loro unico obiettivo e uccidere, ucciderli tutti. (Suona così famigliare…)

Pubba muore difendendo la fattoria e perché contrae il virus, non si capisce bene la dinamica ma, fatto sta, Gus se la deve cavare da solo da quel momento e come lo fa? Male. Considerando che ha solo dieci anni di esperienza alle spalle su come sopravvivere da bambini soli in un bosco. Inaspettatamente arriva in suo soccorso, da un’altra banda di ultimi uomini, Jepperd (Nonso Anozie), un omone grande e grosso cattivissimo… si capisce subito che è proprio un vero cattivo.

Jep diventa involontariamente il custode di Gus e il resto della storia è basata sul loro viaggio attraverso gli Stati Uniti fino al Colorado, per trovare la madre di Gus e avere risposte. Ho già detto che suo padre gli ha lasciato degli indizi su dove trovare una scatola di metallo chiusa a chiave e sotterrata vicino a un albero con all’interno dei ricordi della madre, e che lui stesso è morto con la chiave in mano? Scusate, pensavo fosse scontato.

Ma torniamo al dottor Singh che nel frattempo sta cercando di tiene in vita sua moglie Rani (Aliza Vellani), anche lei ha contratto l’afflizione ma non è ancora morta, questo perché una dottoressa ancora più intelligente del marito sta producendo un siero speciale, in qualche modo, e lo sta facendo all’interno di una tavola calda abbandonata riadattata a centro medico e laboratorio di ricerca. Sono passati dieci anni e adesso le fiale con il magico siero stanno finendo, ne sono rimaste solo due, in più questa dottoressa unica sta morendo di cancro, quindi non potrà più produrre la preziosa “pozione”. Così consegna i suoi appunti di ricerca al dottor Singh, in modo che lui possa continuare il lavoro. Fino a quel giorno lui (medico) iniettava a sua moglie l’unica cosa che la teneva in vita, ma non si è mai posto il problema di capire come fare a replicare il siero. Siamo nel mezzo dell’apocalisse, perché preoccuparsi se c’è un solo medico in gradi di produrre l’unica possibile cura? Mi sembra logico.

A questo punto però Singh non ha altra scelta, o inizia a produrre l’antidoto per sua moglie o la perderà, così si mette a sfogliare la ricerca e scopre una verità atroce. Potrebbe esserci una correlazione con il fatto che gli ultimi uomini passino occasionalmente dalla tavola calda per lasciare scatole di metallo delle dimensioni giuste giuste per contenere un ibrido?
Chi può dirlo?

Se la seconda sottotrama di Sweet Tooth non era già abbastanza cringe, eccovi anche la terza, vediamo una terapeuta introversa che trova il mondo post-pandemico di suo gradimento, va a vivere nello zoo abbandonato perché ha un’illuminazione e finisce per fondare un santuario per i bambini-ibridi che vengono abbandonati davanti alla sua porta. Ma non è tutto, nel viaggio psichedelico incontriamo anche una banda di adolescenti attivisti ambientali guidati da Bear (Stefania LaVie Owen) che vogliono difendere gli ibridi perché credono che l’unica salvezza del mondo risieda proprio nella loro “naturalissima” nascita. Nota fiabesca: la voce fuori campo che narra la storia è davvero rilassante e piacevole. Per il resto Sweet Tooth è in parte fantasy, in parte fantascienza, in parte eccentricità, in parte fin troppo realistico, quasi da trovare parallelismi inquietanti tra il coronavirus e l’afflizione. Le scenografie sono incantevoli, i panorami post-apocalittici deliziosi, quindi è un meraviglioso intrattenimento o un orribile tentativo di trasformare la pandemia in un mashup commercialmente appetibile? È sicuramente rivolto a un pubblico più giovane, ma nonostante questo io ne sono rimasta incantata, ma non so ancora dire perché. Sicuramente visto il clamoroso cliffhanger di chiusura aspetto la seconda stagione.

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