In scena al Teatro Menotti, fino al dal 20 giugno, Mattatoio n.5 tratto dal romanzo di Kurt Vonnegut. È la storia di un uomo, Billy Pilgrim e dei suoi viaggi nel tempo, ma anche di Billy Pilgrim e della seconda guerra mondiale. Mattatoio n.5 è un’esperienza dissociativa e multidimensionale perché la fantascienza, gli spostamenti spazio temporali che Billy compie, ha compiuto e compirà per sempre, sono in realtà la cornice di una fuga mentale e fisica dalle crudezze della seconda guerra mondiale. Sono quattro le dimensioni che restituiscono allo spettatore l’idea del movimento di Billy.
*La recensione contiene spoiler
Le voci di quattro attori, Jacopo Sorbini, Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Chiara Tomei, dipingono un ritratto emotivo e umano della fuga di Billy dal ricordo della guerra. Dapprima si entra nella mente di Vonnegut, Jacopo Sorbini, che traccia dettagli e compone la figura di Billy saltando tra ricordi e romanzi. Segue amore morbido di Valencia, Giuditta Costantini, che seduta su un frigorifero rincorre la sua vita matrimoniale, terminata con il disastroso incidente poco dopo l’uscita per Vancuver, quando la loro Cadillac viene squarciata a seguito di un’inchiodata disperata. La macchina giunge singhiozzando all’ospedale, ma Valencia morirà prima di rivedere Billy, sempre lontano, sempre immerso in uno spostamento temporale che, persino alla loro festa di anniversario, lo aveva trasportato a Dresda.
È il turno del commilitone, consumato nella mente dalla guerra, impronta umana, brutalmente umana, di ciò che realmente la guerra causa. Deride, rimpiange e un po’ disprezza Billy, lo vuole salvare e lo maledice, guidando lo spettatore a Dresda, nel Mattatoio n.5. Raggomitolato su una panchina, o rannicchiato ai suoi piedi, Nicolas Errico svuota la mente e lo zaino vomitando ricordi e oggetti, delineando a parole l’orrore di scoprire che nella prigionia avevano tutto, un rasoio di sicurezza, sigarette, del sapone e una candela. Questi ultimi oggetti sono il frutto della perversa razionalità del regime tedesco, recupero organico delle vite gasate nei campi di sterminio. E mentre l’immagine del sapone e della candela, della schiuma umana della glicerina e della cera che cola si infrange nella mente di chi osserva e ascolta, mentre il turbamento increspa il viso di molti in sala, ecco che cadono nuovamente bombe su Dresda. Ed ecco quattro soldati, la bocca spalancata, e Billy che la riempie la scena con una canzone che dice di aver sentito cantare da un quartetto amatoriale ad un anniversario ancora non avvenuto.
Nella gabbia di uno human zoo sul pianeta Trafalmadore la pornoattrice Montana Wildhack, Chiara Tomei, racconta una vita osservata da creature aliene, incapaci di empatizzare con lei e Billy, esemplari scelti per performare il diverso, l’umano, sul pianeta. Montana restituisce ammirazione, ma anche frustrazione, paura e desiderio di tornare sulla Terra, di riprendere quella giornata in spiaggia da cui è stata strappata. Lei, a differenza di Billy, non può muoversi nel tempo e nello spazio, è vincolata alla gabbia e alla scelta di una specie a lei aliena, incinta e sola, cerca Billy per farsi raccontare una storia. Ricorda di quando le ha parlato di Dresda, dei quattro soldati in fiamme, della città rivoltata dalle bombe. Montana non voleva quel tipo di storia, voleva qualcosa di diverso, e allora Billy le propone di vedere un film, un film di guerra, il loro preferito, da guardare al contrario. E lo spettatore dalla platea non vede più il palco, ma segue le parole e riavvolge un nastro mai visto, osservando aerei volare all’indietro e ritirare bombe, assorbire fiamme e restituire vite umane a un destino senza atrocità.
La luce si sposta, lasciando appena accennati i tratti somatici e i corpi degli attori, mettendo in luce l’attimo e poi precipitandolo in uno stato semibuio, un ammiccamento a ciò che Billy ripete sempre, a ciò che i Trafalmadoriani ripetono spesso, che in fondo tutto è infinito nel tempo in ogni suo stato d’esistenza. E dunque, anche gli attori, finite le battute sono e rimangono delineati sul palco. Dresda e Billy diventano immagini forti, sfaccettate, in quattro dimensioni. Ciò che appare reale è malattia mentale e ciò che appare malattia mentale è reale, in pieno stile Vonnegut. Una strana commistione di angoscia e amore dipinge il quadro grottesco di ciò che sui libri di storia è una postilla, la salute mentale dei reduci, le persone che incrociano la loro vita, il desiderio di dimenticare, ma l’impossibilità di lasciare andare, la persecuzione che la mente non può che mettere in atto contro sé stessa. Perché le persone non sono fatte per la guerra, ma la fanno comunque.
Due uomini e due donne, restituiscono anche la differenza sociale che viene imposta ai generi. In Valencia v’è l’accettazione quasi passiva del suo essere grassa fino a che Billy non la guarda e le racconta la sua bellezza. Montana, rapita ed esposta, è il riflesso di tutte quelle scelte che le donne non possono compiere, mutilate da una società iniqua in cui, guarda caso, il viaggiatore capace di sfuggire alla prigionia è un uomo.
Il palco non è lineare, ma una somma di quattro elevazioni strutturali, quasi a volere dare anche l’impressione fisica di contesti separati, uniti dalle parole e dalle immagini che gli attori riescono vividamente a disegnare. Ed infine una chiusa corale, un piccolo recupero delle dimensioni nello spazio dell’esistenza di Billy per dire l’effimero e costante: così va la vita.
INFO:
Mattatoio n.5
Teatro Menotti
via Ciro Menotti 11, Milano
Fino al dal 20 giugno
Biglietteria: biglietteria@teatromenotti.org tel. 02/36592544
Ore 15 – 19 dal lunedì al venerdì
Prezzi: Intero – 20€ – Ridotto over 65 / under 14 / residenti Municipio 3 – 15€
Acquisti online: con carta di credito su www.teatromenotti.org
Orari spettacoli: dal martedì al sabato: ore 20,00 – domenica: ore 16,30
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