“Basta un caffè per essere felici”: un invito a godere di ogni momento
“Basta un caffè per essere felici” è un delicato invito a godere di ogni momento come un regalo della vita, lasciando da parte rimpianti e rimorsi. Dopo il romanzo d’esordio “Finché il caffè è caldo“, Toshikazu Kawaguchi continua a insegnarci ad apprezzare il tempo a disposizione e a non lasciarne andare neanche un minuto, trasformando ogni occasione in realtà.
Col secondo romanzo dell’autore torniamo nella caffetteria più speciale e misteriosa del Giappone. A Tokyo c’è un piccolo locale a gestione famigliare aperto da più di 100 anni in cui, dicono le leggende, è possibile tornare nel passato per incontrare qualcuno. Ci sono però delle regole da rispettare per viaggiare nel tempo, tra cui la più importante: non lasciar raffreddare il caffè. Diversi avventori entrano nel locale, spinti dalla curiosità ma soprattutto da un passato tormentato e fin troppo presente: frasi non dette, verità tenute nascoste e carezze mai date li spingono a provare a ricucire le ferite, cercando di risolvere i propri conflitti interiori.
Pur sapendo di non poter cambiare il presente in alcun modo, le persone decidono comunque di sedersi al tavolo della caffetteria e tornare, anche se per poco, ai momenti ormai persi nei ricordi. Ma a cosa serve viaggiare nel passato se non si può cambiare ciò che è stato e sarà? Molti se lo domandano, dubbiosi, prima di affrontare il loro viaggio, ma alla fine arrivano alla risposta: spesso basta cambiare la nostra percezione degli eventi per godere di una vita totalmente diversa da quella che ci siamo cuciti addosso, involontariamente. A volte basta cambiare prospettiva per trasformare il dolore in gioia.
Accomodati a un tavolino.
Gusta il tuo caffè.
Lasciati sorprendere dalla vita.
“Basta un caffè per essere felici” è un tipico esempio di letteratura giapponese moderna: leggero ma al contempo profondo, riesce nell’impresa di riflettere sugli aspetti più importanti della vita con leggerezza, cercando di mostrarci come il sapore della perdita può essere dolceamaro, e non semplicemente amaro. Lo fa in modo delicato, senza la presunzione di insegnarci alcunché: le storie e i personaggi parlano da soli, così come le atmosfere e le immagini sapientemente create dall’autore. Entrare nella caffetteria significa fare la conoscenza di un luogo senza tempo dove si percepisce un’incredibile connessione col mondo, e dove tutto sembra possibile. C’è magia in ogni gesto, in ogni parola, in ogni sguardo scambiato dentro quel luogo mistico. Tutto è carico di significato e mai lasciato al caso, inserendosi come la giusta pennellata di colore nel variopinto quadro dei personaggi della storia.
Non è necessario aver letto “Finché il caffè è caldo” per apprezzare anche questa seconda opera. La caffetteria viene nuovamente introdotta, così come le regole da seguire per tornare nel passato. Allo stesso modo, non è importante conoscere i personaggi del primo libro, in quanto vengono affrontate storie diverse. La presenza di alcuni di essi già nel precedente titolo non intacca in alcun modo l’esperienza di lettura.
Il romanzo non si discosta molto dal suo predecessore, essendo ambientato nello stesso luogo e seguendo (all’incirca) le stesse dinamiche. Se col primo eravamo entrati per la prima volta nella magica caffetteria, questa volta sentiamo di ritornare a casa, accolti dalle volute di fumo del caffè caldo e dal suo irresistibile e avvolgente profumo. Ci danno il bentornato personaggi già conosciuti, come la cameriera Kazu e il proprietario Nagare, ma anche nuovi volti. Ognuno di essi porta con sé un racconto unico, fatto di addii troppo precoci, insicurezze e parole sussurrate solo al vento. Cambiano le storie e i tormenti e con loro gli spunti spunti di riflessione, pur vertendo sempre sugli stessi temi: dare peso a ogni momento, anche a quelli apparentemente meno significativi, sfruttare ogni secondo con le persone amate ed essere sempre sinceri. Soprattutto, godere della vita finché è pulsante, esattamente come si gode di un caffè: finché è caldo.