Leggere “E questo è niente” è come fare un viaggio in compagnia di una persona speciale capace di guardare oltre la superficialità quotidiana, oltre l’evidenza. Questa persona si chiama Giulio, un ragazzo di sedici anni, tetraplegico, con una curiosità e un’umanità fuori dal comune. Giulio vive con i nonni, per tutti è un “coso” che non comunica, ma lui riesce a vedere al di là delle apparenze e delle contraddizioni dei cosiddetti normali e parla al lettore come se lo conoscesse da sempre. Lo scrittore Michele Cecchini con maestria e ironia ha creato una storia che trae molto dal vero (personaggi realmente esistiti ma non solo), che rispecchia l’urgenza di cogliere nell’apparente niente l’inatteso, l’impensato, l’incanto. È una vicenda che ha tanto da insegnare a noi normali e che sa dare alla parola persona un significato diverso, centrato sul rispetto, la cura e la considerazione. Tutto questo dà avvio ad una trasformazione vitale personale straordinaria ed è lo stesso Giulio a dimostrarcelo.
Un libro capace di far riflettere, emozionando e incantando, è proprio “E questo è niente” di Michele Cecchini, edito da Bollati Boringhieri. Per me è stata una sorpresa leggere questa storia per il suo taglio particolare e le inaspettate considerazioni al suo interno. Conoscere Giulio il protagonista significa quasi affezionarsi a lui, volergli bene come ad un amico, ad un fratello. È un grande pregio letterario la capacità di unire lettore e protagonista, di farli incontrare tra le pagine.
Il romanzo è scritto dal punto di vista di questo ragazzo, a mano a mano che Giulio racconta si comprendono tante piccole sfumature del suo vissuto, del suo mondo. Non viene fornito tutto il quadro complessivo della storia, le informazioni principali sono presentate tra le righe grazie ai pensieri e allo sguardo acuto e attento di Giulio. È lui che parla, commenta, descrive, esprime idee e desideri. Questo a mio avviso dà una carica emotiva al testo straordinaria e coinvolgente. Tutto questo viene amplificato ancora di più quando si comprende che Giulio ha sedici anni, è tetraplegico, non comunica, è perennemente sdraiato su un letto e, per la sua famiglia, è un “coso” lì fermo, impassibile.
Giulio non viene quasi mai chiamato per nome, non esce, non ha più i suoi genitori e viene accudito dai nonni. Nessuno si interessa o parla con lui, viene spostato in una stanza diversa quando ci sono ospiti, non viene considerato e non partecipa alla vita familiare e sociale. Non è visto come persona, ma è più un soprammobile da pulire e a cui dare da mangiare. Giulio però è oltre, è altro, ha una vita interiore ricca e sorprendente, frutto della sua grande capacità di osservazione e di riflessione, ha un’ammirazione profonda per il nonno e, tramite le conversazioni e le parole che riesce a sentire, guarda il mondo esterno con lucidità mista a quell’ingenuità tipica di chi resta quasi un estraneo, ignaro di tutto. In alcuni punti il pensiero di Giulio è sconcertante, profondo, inaspettato: riesce a scovare e a svelare le opacità, le fragilità, i pregiudizi, le contraddizioni delle persone che lo circondano, i cosiddetti normali. Non giudica e non critica ma il suo modo di selezionare e considerare gli elementi della sua realtà personale è fuori dal comune, così umano da stupire. Lascia degli spunti su cui riflettere, la sua visione esterna restituisce gli stessi atteggiamenti, le stesse parole sentite con un ragionamento che arriva al vero significato intrinseco. Giulio indica spesso gli altri con la parola normali, ne tratteggia le caratteristiche a partire dalle frasi dette, dal modo di fare, dalle abitudini ed è un procedimento che risulta difficile a chi vive dall’interno la situazione. Il risultato è una riflessione continua che lascia sconcertati inaspettatamente.
Anche il titolo del romanzo ricalca questa modalità, “E questo è niente” è sinonimo di meraviglia, novità, è il modo di dire del protagonista per indicare le sorprese più impensate, le svolte, l’evento improvviso che cambia. Questo è il romanzo della diversità, dello svelamento, dell’apparente niente che nasconde e si trasforma.
La vicenda è ambientata negli anni Sessanta in un paesino toscano e parte dalla situazione problematica e improvvisa che gli abitanti di via Cadorna vivono: la letargia, le persone sono colpite da improvvisi colpi di sonno che durano ventiquattr’ore e tutto il paese cerca di trovare una soluzione, una spiegazione. Da questo fatto si snoda la narrazione concreta di Giulio, aderente ai fatti ma capace di andare oltre l’evidenza. Giulio racconta le sue sensazioni, il clima della sua famiglia, la storia così come lui l’ha compresa, gli spazi che vede quotidianamente, le chiacchiere, i suoi desideri. Sotto la sua lente di ingrandimento ogni elemento si fa diverso: i genitori, i vicini, i nonni, le strade, la paura per le formiche, la sua casa, il mare…il più piccolo particolare diventa grande e importante, il sentimento riempie e dà consistenza al giudizio razionale.
Nonostante questo, per Giulio la vita procede sempre uguale fino a quando irrompe la sorpresa decisiva, l’ingresso nella sua vita del dottor Adriano Milani, realmente esistito, fratello maggiore dell’altro grande Milani, che fa quella differenza che salva, che ridà dignità e vita nuova. Qua sta la bravura e il talento di Michele Cecchini che dedica questa storia al padre, impersonato nella storia dal dottor Nardi a mio parere, allievo del vero dottor Milani che negli anni Sessanta ha fondato e diretto il primo Centro per bambini con paralisi cerebrale infantile. Ciò che ne scaturisce è un percorso inatteso, capace di coinvolgere e far riflettere, una storia inventata ma vera nello sfondo, nel contesto, nei sentimenti. Questo romanzo merita davvero una lettura perché sa essere empatico, sofferente in alcuni passaggi, rivelatore di un punto di vista che non si immagina neppure di considerare. Cecchini segna il cammino di come la parola persona subisca un’evoluzione, un cambiamento in base al pensiero sottostante. E questo è davvero niente…la trasformazione è sempre possibile se ci sono occhi che sanno fermarsi e sanno guardare il prossimo, quelle vite apparentemente inesistenti ridando loro valore e la possibilità di essere altro. Esattamente come il dottor Milani ha saputo fare con Giulio e Giulio con noi.
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