Rosalind Franklin, una luce nella scienza e il buio dell’anonimato.
Nella storia delle scienze, una grande importanza è riservata alle “scienze della vita”, quell’insieme di fisica, chimica, biologia, genetica che permette di studiare da dove nasca la vita, come si mantenga e come cambi attraverso gli eoni del tempo. Fino al Novecento molte teorie si sono susseguite, alcune con maggior fortuna di altre, per spiegare l’enorme complessità che si nasconde dietro una cellula, dietro un corpo, dietro un essere vivente; ma proprio nella seconda metà del secolo scorso ecco una scintilla. Questa scintilla fu la scoperta del DNA, dell’acido desossiribonucleico, che gettò una luce e rischiarò millenni di ipotesi e dimostrazioni fallite.
Tanti scienziati hanno contribuito agli studi sul DNA, ma a una donna in particolare si attribuisce il merito di aver scoperto la sua morfologia a doppia elica: Rosalind Franklin, chimica e cristallografa nata a Londra nel 1920, ha lavorato come ricercatrice al King’s College di Londra nell’unità di Biofisica del Medical Research Council e in particolare si è occupata delle immagini a diffrazione a raggi X del DNA.
Fu proprio lei che nel 1952 scattò la celebre foto numero 51, l’immagine fino ad allora più nitida del DNA, che mostrava proprio un’elica formata da strisce nere che si espandevano dal centro verso la periferia. Grazie a questa scoperta Francis Crick, James Watson e Maurice Wilkins vinsero nel 1962 il Premio Nobel per la Medicina, in quell’anno la Franklin era già morta, ma il suo contributo non fu nemmeno accennato.
Rosalind Franklin è stata una martire della scienza: morì a 37 anni, nel 1958, a causa di un tumore causato dall’esposizione alle radiazioni, in un periodo in cui non erano stati accertati i loro effetti negativi sul corpo e si lavorava senza indossare il camice di piombo. Il suo talento, la sua scoperta, l’impulso che diede alla scienza, è stata impugnato da altri scienziati facendola cadere nell’oblio dell’anonimato, nell’oblio di chi non ha contribuito, nell’oblio di chi non ce l’ha fatta. Nell’autobiografia di Watson scritta nel 1968, la Franklin viene dipinta come una donna non attraente, bisbetica, nervosa e gelosa del suo lavoro, senza citare l’importanza che ha avuto per gli studi di tutta una generazione di scienziati. La sua autobiografia mostra quanto la misoginia fosse diffusa e capillare all’interno dell’ambiente scientifico e mostra, silentemente, quanto possa esser stato difficile per la Franklin emergere in un tale ambiente.
Nel decenni successivi Rosalind Franklin è diventata un’icona femminista, un simbolo per tutte le donne che lottano ogni giorno contro le ingiustizie e i soprusi, un simbolo per tutte coloro che sono stanche di sentire che solo l’uomo può fare lo scienziato, mentre le donne devono occuparsi di altro. Rosalind Franklin è il simbolo di un’epoca, il simbolo di una lotta, il simbolo di una luce.
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