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“La dolcezza dell’addio”: l’esperienza del fine vita di Richard Holloway

La dolcezza dell’addio” non è un libro comune, non è una storia con un inizio e uno sviluppo, è il racconto della nostra fine, la testimonianza di tante vite messe insieme. Non è facile dare una collocazione precisa, un giudizio univoco, Richard Holloway ha vissuto per anni accanto a malati e a persone che sapevano di dover morire. Questa raccolta di riflessioni nasce proprio da loro e dal percorso unico del suo autore: per tutto e per tutti c’è una fine e per arrivarci è importante tornare a guardare i propri passi con riconoscenza, gratitudine. Perdonare e vivere pienamente, guardare avanti per dare senso a quel limite permanente. È un libro che forse dovremo leggere una volta nella vita anche solo per comprendere l’enorme ricchezza che ha in sé la vita, il potenziale prezioso di ognuno. Il tema è complesso e difficile, ma vale la pena ripercorrere le sue tappe principali, anche solo per accorgerci di come il dolore, la perdita, il buio più assoluti nascondano un potere trasformazionale davvero senza fine in ognuno di noi.

Provare a commentare un libro come questo è un’impresa e non basterebbe una recensione per illustrare l’argomento. Richard Holloway ha esposto la sua esperienza per parlare e scrivere di un tema tanto complesso quanto doloroso, la morte e il fine vita. Lo fa in maniera delicata e leggera, proponendo delle riflessioni non scontate e molto profonde. Così tanto che è difficile riassumerle in queste poche righe. In libri come questi il livello di lettura è doppio perché le parole dello scrittore tratteggiano una realtà che ognuno di noi, in forme diverse, vive e che possono aiutare a rileggere la propria vita, le proprie esperienze dando una luce diversa ai fatti e alle emozioni provati. La lettura permette quasi una riscrittura diversa della propria storia.

È questo che ho percepito personalmente con “La dolcezza dell’addio” edito da Einaudi. Holloway, ex vescovo di Edimburgo, per anni si è occupato di accompagnare, assistere persone malate, sofferenti sostenendole nell’ultima parte della loro vita. Ha curato il lutto e l’esperienza della morte, della mancanza e della perdita. Questo libro nasce proprio dalle vite e dalla gente da lui incontrate, dalla fragilità della condizione umana e dalla sua personale e universale consapevolezza che ogni cosa ha una fine. Il testo parte esattamente da quest’ultimo assunto: ogni elemento dell’esistenza è destinato ad una fine, l’esistenza umana stessa porta con sé un inizio e un termine e spesso lo si dà per scontato, si archivia questa considerazione in un angolo perché negativa, troppo difficile, scomoda.

Come spesso citato dallo scrittore il bus del termine arriva e l’unica cosa da fare è salirci sopra. Holloway tenta di far luce proprio su questo fatto, non dà spiegazioni religiose, antireligiose, scolastiche o generali ma con delicatezza traccia un percorso toccante e vero. Questa fine è destinata a tutti, la domanda diventa: come riuscire ad affrontare questo arrivo nel migliore dei modi, come preparare il cuore e la testa all’evento, come arrivare al termine con consapevolezza. Anche se la predisposizione umana è la vita, è l’attaccamento alla terra e al corpo. Holloway dichiara apertamente la sua conoscenza limitata del dopovita, non fornisce le classiche immagini del paradiso e dell’inferno, dell’indeterminatezza assoluta e del tunnel di luce, non spaventa e non traccia nessuno scorcio idilliaco ma resta ancorato a quella che è la sua esperienza e al dato di fatto.

La morte rende ogni persona uguale, non restituisce, non ha metro di giudizio ed è la naturale tappa finale di un percorso. Può sorprendere in qualsiasi momento e questo non significa affatto vivere costantemente con la paura e il terrore di dover morire. Vuol dire vivere con consapevolezza e pienezza, con un pensiero che sa apprezzare e sa soffermarsi. La religione può fornire delle spiegazioni: nel libro l’autore ne parla diffusamente, anche con un certo distacco, a sottolineare l’impossibilità di sapere fino in fondo se e cosa ci sarà dopo la morte. L’importante è accettare e fare il punto della situazione. Ciò porta a rivedere il passato, il cammino fatto fino a quel momento, trovando il coraggio di perdonare non con rassegnazione e sconfitta perché tanto ormai è finita, ma con dignità, apertura e fiducia. Affidarsi alla fine della vita per ringraziare e perdonare, per salire su quel bus con gratitudine e consapevolezza. A parole scritte può sembrare banale e scontato per questo è importante partire dal libro “La dolcezza dell’addio” e far proprie le riflessioni di chi è rimasto accanto a tante persone che sapevano di dover morire. Holloway ha toccato con mano il dolore, la disperazione, la solitudine, la mancanza totale di speranza e ha accompagnato persone e famiglie lungo questo tratto, dove la morte poteva essere respirata ad ogni passo, dietro ogni angolo. Il frutto di questo costante affiancamento sono le riflessioni contenute nel libro, alternate e arricchite da poesie e citazioni, rimandi letterari e biblici con uno stile pacato e toccante nella semplicità del linguaggio utilizzato.

Questo breve testo ha la capacità di trattare la profondità senza appesantire o demoralizzare, Holloway per primo ribadisce che, vista la propria età avanzata, il suo bus arriverà prima o poi: è una sorta di auto- accompagnamento, di bilancio propositivo per sé e per i lettori. La scrittura sviscera la parte interiore, la paura, la non conoscenza, la vita nella sua fragilità più completa. Secondo Holloway vale la pena riflettere e lasciar da parte ogni discorso religioso, ateo, personale o di qualsiasi altra natura. Conta arrivare alla fermata del bus sui passi del perdono e della riconoscenza. Perdono di se stessi, degli altri, di ogni mancanza o scelta e riconoscenza di ciò che si ha avuto, delle persone, di ciò che si è e si è stati, dei momenti positivi e importanti. Finire con dignità e con un grande inchino sul palco della vita, proprio perché nessuno può fuggire a quest’attimo e scegliere di affrontarlo nel migliore dei modi è forse l’unica scelta che realmente si ha.

La dolcezza dell’addio” è racconto di un’esperienza personale, è poesia leggera, è lo sguardo alla e sulla vita, è il consiglio di saper riconoscere e far propria la gratitudine, è il sì a quel momento, nonostante l’umana impossibilità.

Mi sarebbe piaciuto poter leggere qualcosa di più dell’esperienza di Holloway, le storie e le persone che lui ha fisicamente ed emotivamente accompagnato. Mi sarebbe piaciuto addentrarmi nel vissuto in maniera più concreta, capire che cosa significa vegliare, seguire, fare strada verso il fine vita. Un riferimento più consistente andava anche a chi resta e vive in prima persona il lutto.

Leggere “La dolcezza dell’addio” può aiutare a scorgere un orizzonte che esiste per tutti e fa paura, c’è e fa parte di ognuno. L’autore ne dà un’illustrazione poetica, profondamente vicina alla limitatezza umana ma capace di far sperare ridando valore al presente, restituendo all’esistenza la sua dimensione. Si tratta di dire un grande grazie alla vita, esattamente così come noi stessi l’abbiamo amata e vissuta.

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