“Sogni di grande Nord” è un viaggio all’insegna dei più selvaggi e remoti angoli del pianeta celebrati attraverso il ricordo di alcuni autori della letteratura americana tra Otto e Novecento.
Fusis e Nomos erano i nomi con cui gli antichi Greci indicavano il mondo naturale e quello artificiale. Tanto il primo era incontrollabile quanto il secondo era indefinibile, perché all’intelletto non vi era fine.
Anche Madre Natura, però, non si manifesta mai allo stesso modo: per quanto le montagne e i laghi presentino un po’ ovunque meravigliosi paesaggi, è soprattutto nel “Grande Nord” che si arricchiscono grazie a scenari mozzafiato.
Lo sa bene lo scrittore Paolo Cognetti che, in compagnia dell’amico illustratore Nicola Magrin e con la troupe del regista Dario Acocella, si è lanciato nell’avventura che sognava da sempre. Ha fatto un viaggio estremo e profondo che lo ha portato a rispondere a delle domande presenti lì, nel suo animo, da parecchio tempo. “Sogni di grande Nord” è un infatti un viaggio all’insegna dei più selvaggi e remoti angoli del pianeta celebrati attraverso il ricordo di alcuni autori della letteratura americana tra Otto e Novecento.
Il fine del documentario è quello di indagare il problema della convivenza dell’essere umano con l’ambiente. Un tipo di rapporto che, a dire il vero, non per tutte le persone è un “problema”. Ne sono la conferma le prime persone che Paolo e Nicola incontrano all’inizio della loro tappa in Canada: Gianni e Magi Bianchi, due amici di lunga data della famiglia Cognetti.
Da ormai quasi quarant’anni marito e moglie abitano in riva a un fiume Canadese dove sono l’unica presenza umana: i supermercati più vicini distano minimo due ore, ma questo non ha mai portato la coppia a cedere alla tentazione del ritorno. Come lo stesso Gianni ha modo di confessare a Paolo, da giovane gli si sarebbe prospettata una carriera da dottore ma non era la vita monotona né lo stare in mezzo alle persone a soddisfarlo.
In Canada invece richiama gli uccellini da sotto gli alberi, va a pesca a prendere del salmone o, semplicemente, sale in cima alla sua villetta a godersi i raggi di sole; tutto questo mentre Magi resta in casa a trovarsi qualcosa da fare, perché la mera contemplazione non fa per lei. Non si sentono incompleti, Gianni e Magi: anche se invecchiano di giorno in giorno, non hanno paura della morte né tanto meno della solitudine.
Il docufilm, nelle sale solo il 7, l’8 e il 9 giugno, è un inno alla libertà e mostra come riprendere in mano la nostra vita. Un insegnamento, questo, che trova il perfetto esempio nella scrittrice Kate Harris.
Kate vive tutto l’anno in una casetta di legno immersa nel bosco, scarna e del tutto priva di comodità. Gli unici veri arredi sono i suoi libri, sparsi nelle nicchie che arredano la capanna.
Ama Thoreau, che ai suoi tempi decise di abbandonare la città e rifugiarsi nella natura selvaggia (verrebbe da dire tale scrittore tale lettore).
Con lei Paolo si trova bene, anche lui infatti ama Thoreau, in parte perché le sue letture lo hanno salvato quando, a trent’anni, stava affrontando una crisi esistenziale. Poi, finito di leggere anche London e Hemingway, deve aver letto la storia dello sfortunato viaggiatore solitario Christopher McCandless, celebrato nel film “Into the Wild“.
Paolo avrebbe voluto essere radicale come Chris, ma ammette che la vita è fatta di tanti compromessi. Forse non sarà mai tanto libero da guidare senza sosta e cibarsi del primo animale che gli capiti sotto il naso servendosi di un fucile. Ne è affascinato, certo. E gli basta sostare davanti al leggendario veicolo dove McCandless, ormai denutrito e privo di forze, andò incontro alla morte agli inizi degli anni Novanta, nel fiore dei suoi anni.
I due amici possono dire di aver visto quel posto magico che ha lasciato un segno in tanti altri appassionati di viaggi e che, dal 18 giugno del 2020, ha cessato di essere confinato in quell’angolo di mondo.
Va sottolineato come Nicola e Paolo abbiano fatto un lavoro di dedizione: si sono adattati alle difficoltà ma soprattutto a regole registiche che meritano un elogio a sé stante. L’impatto emotivo che ci lasciano dentro è dovuto infatti alla fotografia affidata a Stefano Tramacere ma soprattutto alla colonna sonora curata da Fabrizio Bondi. A tal proposito Magrin si è espresso sulla completezza derivata dall’impressionante apparato musicale dichiarando che “riascoltare la colonna sonora è stato un toccasana”.
Nexo Digital, corrispettivo distributore in ben 150 sale in tutta Italia, lo renderà visibile il 7, l’8 e il 9 giugno. (elenco delle sale a breve su www.nexodigital.it)
Il documentario infine è stato realizzato anche grazie ai contributi della Regione Lazio e della Film Commission della Valle D’Aosta finalizzati a sostenere la produzione audiovisiva: un’infallibile prova che il Cinema avrà sempre l’appoggio di tutti.
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