Attualità

Giornata lavorativa: 8 ore è ancora la durata giusta?

Lavorare 8 ore al giorno, 5 giorni su 7, è considerato la normalità in (quasi) tutta l’Europa. Spesso però, ultimamente, ci si è chiesti se questa durata sia ancora quella giusta o se, complici le nuove abitudini e lo stile di vita sempre in evoluzione, ci sia bisogno di rivedere questo aspetto della vita professionale.

La durata attuale della giornata lavorativa risale infatti all’inizio del 1800, al periodo della rivoluzione industriale. Questo periodo di transizione verso l’era moderna portò la durata del lavoro da 10-16 ore alle 8 di oggi. Un tempo accettabile considerata la tipologia di lavoro prevalente dell’epoca, ma probabilmente da rivedere per il momento storico in cui ci troviamo.

Liam Byrne

Le critiche mosse alla giornata da 8 ore vertono principalmente sul poco tempo rimanente per potersi dedicare a sé stessi, alle proprie passioni e alla famiglia. Minor tempo libero significa maggiore stress, e ciò si ripercuote non solo sulla vita personale ma anche su quella lavorativa: diminuiscono la qualità del lavoro e la produttività, aumentano l’insoddisfazione e lo stress, e si crea un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

Negli ultimi anni diverse aziende e istituzioni hanno provato a ridurre l’orario di lavoro per dare ai propri dipendenti un diverso bilanciamento tra la vita privata e quella professionale. Se da una parte ci sono stati molti risultati positivi, soprattutto relativi al benessere dei dipendenti, dall’altra sono emerse alcune difficoltà legate alla gestione dei nuovi turni e alla riorganizzazione aziendale.

Un esempio positivo di cambiamento ce lo dà Toyota: l’azienda, dal 2002, ha introdotto la giornata lavorativa da 6 ore presso il suo stabilimento di Göteborg, in Svezia. Secondo i dati resi noti dall’azienda la riduzione dell’orario ha portato una crescita dei profitti del 25%, ha abbassato il turn-over aumentando anche il numero di candidature e ha migliorato sensibilmente la vita dei dipendenti. I lavoratori hanno affermato di riuscire a dedicare più tempo agli impegni personali e alla famiglia, sentendosi più sereni e riposati, quindi più produttivi durante l’orario di lavoro.

Se l’esperimento ha avuto successo per la multinazionale, lo stesso non si può dire per il comune di Göteborg, per il quale la riduzione dell’orario si è rivelata invece fallimentare. Sulla scia del successo di Toyota l’ente cittadino decise, nel 2015, di portare a 6 ore i turni dei dipendenti pubblici, sperando di ottenere i benefici dell’azienda. Le prime persone ad affrontare il cambiamento furono gli infermieri di una casa di riposo della città. Già dalle prime settimane si notò un aumento di produttività misurata sia in termini di attenzioni rivolte agli ospiti della struttura, sia in velocità di esecuzione dei compiti più meccanici. I dipendenti videro migliorare anche il proprio benessere mentale, portandoli ad apprezzare maggiormente le proprie mansioni. A fronte della riduzione oraria, però, non ci furono nuove assunzioni, principalmente perché non vi erano abbastanza risorse economiche per sostenere nuovi ingressi. La casa di riposo necessitava di avere personale al lavoro durante gli stessi orari di prima per garantire supporto continuo agli ospiti, ma non potendo investire in nuovi dipendenti, la nuova gestione non fu più sostenibile. L’esperimento terminò a fine 2016, e la casa di riposo tornò a lavorare su turni di 8 ore.

Toyota Center Göteborg

I risultati dei due esperimenti mostrano pro e contro della scelta, facendoci riflettere sulle tematiche da affrontare prima di andare incontro ad un cambiamento del genere. Prima tra tutti c’è la questione della copertura oraria che un’azienda o una struttura deve garantire. Nel caso di un’attività del settore secondario a importare, nella maggior parte dei casi, è la produttività globale dell’azienda, sulla quale gli orari di lavoro non influiscono eccessivamente. Tralasciando interventi straordinari di manutenzione o risoluzione di problemi (che sono, per l’appunto, straordinari), ciò che conta è quanto il singolo dipendente produce durante l’orario lavorativo, non la sua disponibilità oraria. Il motivo per cui l’esperimento di Toyota ha avuto successo è perché i lavoratori riuscivano materialmente a produrre di più, grazie a stress ridotto e minore stanchezza. Per questo la produttività non solo non è calata, ma è addirittura aumentata, e l’azienda è riuscita a sfruttare al meglio le 6 ore lavorative.

Nel caso invece della casa di riposo era necessario offrire una certa continuità e disponibilità nel servizio offerto, e ciò ha richiesto più personale per coprire questo bisogno. Le spese da affrontare per pagare i nuovi stipendi e offrire formazione alle nuove leve erano troppo elevate, e il comune si è visto costretto a fare un passo indietro. Con questo non si vuole accusare di inadeguatezza il modello di orario ridotto, ma soltanto sottolineare l’importanza di una valutazione di sostenibilità prima di essere adottato.

Lo stesso discorso vale per i servizi commerciali, turistici, gastronomici, amministrativi e di consulenza. Ridurre la giornata lavorativa dei dipendenti non deve in alcun caso diminuire la qualità e la disponibilità di un servizio. Ciò però significa assumere più persone senza diminuire lo stipendio dei dipendenti.
Superato lo studio di fattibilità per la riduzione dell’orario occorre valutare la giusta durata dei nuovi turni per garantire benefici concreti sia per i dipendenti sia per l’azienda. Il modello a 6 ore è soltanto una delle possibilità: ogni realtà deve scegliere quello più adatto.

Diverse ricerche degli ultimi anni vedono nelle 5 ore la durata ideale della giornata lavorativa. I risultati tengono in considerazione il livello di concentrazione e produttività accettabile offerto da un dipendente in un dato lasso di tempo, lasciandogli anche sufficiente libertà extra-lavorativa. Molte aziende internazionali hanno già adottato questo cambiamento e continuano a sostenere l’efficacia della riduzione del turno. A parte rari casi, non è realistico pensare di dare il 100% per tutte le 8 ore di lavoro, sia nel caso di un lavoro fisico sia di uno prettamente mentale. Inevitabilmente il livello di attenzione e prontezza diminuisce col passare del tempo, subendo oltretutto un calo più drastico quando capita di dover affrontare problemi molto impegnativi. Analizzando nel dettaglio quanto di un normale tempo pieno frutta effettivamente una buona qualità di lavoro è emerso che su 8 ore sono 5 quelle davvero produttive. Le altre 3 diventano pause sui social e tempi improduttivi, risultando essere un’influenza negativa sul benessere mentale dei dipendenti. Lo studio del 2016 della Melbourne University mostra come una settimana lavorativa di più di 25 ore (quindi più 5 ore al giorno) ha un impatto negativo nelle funzioni cognitive dei dipendenti. Al contrario, giornate da 5 ore e un massimo di 25 ore settimanali impattano positivamente sulle abilità cognitive dei lavoratori, rendendoli più reattivi, precisi e veloci nelle loro attività.

 

Un recente sondaggio su LinkedIn ha indagato proprio questo aspetto. Quanto dovrebbe durare la giornata lavorativa? È stato chiesto agli utenti e le risposte non sono tardate ad arrivare. A confronto c’erano proprio le classiche 8 ore contro le più moderne 5. Il 65% dei votanti ha scelto l’opzione di durata ridotta, mentre il 19% è rimasto fedele alla giornata lavorativa classica. Il restante 16% ha votato “altro” e si è espresso nei commenti, propendendo o per una via di mezzo tra le due durate, o addirittura per tempistiche non prestabilite. Negli ultimi tempi, soprattutto in seguito al cambio di abitudini a cui ci ha costretto il Covid19, sta prendendo piede l’idea di non imporre un numero di ore di lavoro, o perlomeno definire soltanto un minimo. Autonomia e responsabilità sono le parole chiave a sostegno di questa tesi, secondo la quale un orario flessibile garantirebbe risultati migliori come conseguenza della sensazione di libertà dei dipendenti. Lavorare quando si vuole, per quanto tempo si vuole e solo per obiettivi: questo il segreto per il successo aziendale.

La soluzione proposta garantisce, almeno in teoria, più rispetto per gli spazi personali, per le capacità del singolo e per le energie da incanalare nel lavoro. Avere orari prefissati e da rispettare può effettivamente risultare limitante, data l’eterogeneità dei lavoratori e dei loro bisogni. Abbracciare questa gestione potrebbe però non essere così semplice, soprattutto se si ha a che fare, come nella maggior parte dei casi, con mansioni gestite da un team di persone e non da un singolo. Quando la collaborazione e la comunicazione in real time sono condizioni necessarie per portare a termine un lavoro, diventa imprescindibile organizzare degli slot di lavoro condivisi, reinserendo di fatto degli orari imposti. Eventuali difficoltà di gestione potrebbero portare le aziende a voler tornare alla vecchia impostazione lavorativa, generando malcontenti e causando nel frattempo un calo di produttività non indifferente.

La questione sulla durata ideale della giornata lavorativa è ancora aperta e infuocata.

Probabilmente non esiste un numero di ore da considerare universalmente adatto, sia per la diversità delle realtà aziendali, sia soprattutto per le esigenze e i bisogni così variegati delle persone. La pandemia ha accelerato il processo di decisione, ponendoci di fronte a un quesito rimasto sopito per troppi anni. Forse ci vorrà ancora un po’ di tempo per vedere qualche cambiamento anche nel nostro paese, troppo ancorato ai retaggi del passato e a volte ostile ai cambiamenti, ma molte voci stanno già cominciando a farsi sentire.

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