Quando si parla di Green Economy, riscaldamento globale e impegno contro il cambiamento climatico, solitamente viene menzionato anche l’Accordo di Parigi firmato nel 2015: ma che cos’è e cosa prevede esattamente?
Partiamo con una spiegazione più tecnica: l’Accordo di Parigi è un accordo firmato a dicembre del 2015, ed entrato in vigore a novembre del 2016, da 196 stati membri (solo Siria e Nicaragua non ne fanno parte) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), con l’obiettivo di ridurre i gas serra e contrastare il riscaldamento globale.
Affinché l’accordo entrasse in vigore, inoltre, è stato necessario che almeno 55 paesi che rappresentassero il 55% dell’emissioni globali ratificassero l’accordo. Più precisamente, l’Accordo di Parigi prevede di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto della soglia dei 2°C, aumentando gli sforzi per limitarlo a 1.5°C.
Il patto si basa sul principio della responsabilità comune, cioè ogni paese aderente dovrebbe attuare politiche di adeguamento agli obiettivi dell’Accordo. Tale responsabilità, comunque, è differenziata: i paesi in via di sviluppo, India e Cina su tutti, sono “autorizzati” a procedere con più calma.
In parole povere, l’Accordo di Parigi è un patto con il quale le 196 nazioni aderenti si impegnano a contrastare il riscaldamento globale e il cambiamento climatico attraverso l’implementazione di tutte quelle politiche e manovre necessarie per un’economia più verde.
Nell’Accordo, comunque, non viene menzionato nessun termine per lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio, ma viene solo chiesto il raggiungimento degli obiettivi fissati, lasciando trasparire una maggiore importanza data alla neutralità climatica piuttosto che alla decarbonizzazione.
A che punto siamo con l’Accordo di Parigi?
Firmato a fine 2015 ed entrato in vigore nel 2016, nel 2018 l’Accordo di Parigi è diventato operativo grazie all’adozione del “Pacchetto di Katowice”, un insieme di norme, procedure e orientamenti comuni da seguire.
Stando a quanto riportato nel patto, ogni 5 anni le nazioni aderenti sono tenute a riunirsi e a valutare i progressi collettivi verso gli obiettivi a lungo termine e informare le parti affinché aggiornino e migliorino i loro contributi determinati a livello nazionale. La prima di queste riunioni sarà quindi nel 2023, tra soli due anni, perciò viene da chiedersi, a che punto siamo?
Ad oggi, il processo di adeguamento alle linee guida dell’Accordo sembrerebbe procedere molto lentamente. Si investe di più nel settore Oil&Gas piuttosto che nel settore Green (880 miliardi contro 550), oltre al fatto che manca ancora un carbon pricing utile per disincentivare tutti quei processi produttivi responsabili della maggioranza dell’emissioni di gas serra.
Va ricordato comunque che la Green Economy, se non gestita con parsimonia, potrebbe portare effetti indesiderati, ne abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo), oltre al fatto che il processo di riconversione industriale richiede anni e altrettanti ne serviranno per vedere i primi risultati. Per questo, probabilmente, è ancora presto per condannare l’operato di nazioni e aziende.
La prima valutazione, quindi, dovrà forse riguardare gli sforzi fatti per gettare le basi necessarie al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, piuttosto che i risultati ottenuti in soli 5 anni.
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