Past/Present, la nuova mostra gioiello con cui Michela Negrini prosegue la stagione espositiva della sua galleria a Lugano, dove riunisce diverse opere che, con i loro riferimenti, chiamano in causa la questione del tempo ed esistenza.
La mostra, una collettiva, si estende oltre i confini abituali delle immagini, nella loro dimensione spaziale e temporale, e nasce da una riflessione su questo particolare tempo “congelato” che stiamo vivendo a causa della pandemia Covid19.
Una delle numerose conseguenze della pandemia è il cambiamento della nostra percezione del tempo. Lo spazio della vita quotidiana ha subito enormi limitazioni. Il virus, inatteso, ci ha bloccati. Abituati a guardare al futuro, oggi viviamo nell’incertezza. Prigionieri del presente, la vita è diventata sopravvivenza, senza proiezione, se non quella individuale. Dopo anni di progresso, viviamo i limiti del presente e l’impossibilità di immaginare il futuro: grande contraddizione della nostra epoca.
L’esposizione esplora, attraverso il lavoro di quattro artisti – Elisabetta Benassi, Liliana Moro, Melik Ohanian, Namsal Siedlecki – le molte implicazioni dell’esperienza del tempo, della sua essenza e della sua percezione.
Attraverso il recupero e la trasformazione di materiali e di simboli, Elisabetta Benassi osserva criticamente l’eredità culturale, politica e artistica spesso controversa dei nostri tempi, per esplorare il rapporto tra passato ed epoca contemporanea, interrogandosi sulla condizione e l’identità del presente. In mostra Atlas Shrugged, un lavoro del 2018 che si inserisce nell’esplorazione di un mondo in cui l’idea di comunità è sparita e in cui regna “l’individuo sovrano”. Qui, le nozioni di “proprietà di sè” e di “sovranità assoluta” dell’individuo su se stesso e in relazione al mondo sociale sono centrali. Concetti-mito del liberalismo del XIX secolo, all’individuo sovrano è riconosciuto un valore assoluto e autonomo nel raggiungimento del proprio destino, rispetto alla sfiducia nella società e in qualsiasi progetto di emancipazione universale. Nel dibattito contemporaneo, il modello di un soggetto sfrenatamente liberista – completamente a suo agio in un mondo dove ogni passione collettiva è offuscata e solo la volontà individuale e le iniziative private hanno un valore – ritorna sotto forma di ideologia invisibile e indiscutibile. In questo preciso momento storico di “sospensione” temporale e privo di proiezione collettiva, questo lavoro ci propone una possibilità immaginaria di sottrarsi al caos del mondo reale, con i suoi limiti e conflitti, con le suo contraddizioni tra salvezza individuale e catastrofe collettiva.
In mostra anche opere inedite di Liliana Moro: grandi sculture in ceramica bianca candida, a forma di melagrana. Simbolo primitivo del ciclo morte-vita, del continuum su cui si basa la nostra esistenza, il frutto ne rappresenta l’energia vitale. Negli ultimi anni la ceramica è tornata molto spesso nel lavoro di Liliana Moro, anche per realizzare forme prese dal mondo naturale, come per esempio la frutta.
Per queste composizioni, l’artista ha utilizzato la ceramica, partendo dall’origine del materiale, cioè la terra, il fango ed i minerali che la compongono. Riflettendo sulla centralità della scelta del materiale quale parte fondamentale del processo creativo, Liliana Moro ci porta a riflettere sul tempo del materiale, elemento fondamentale che restituisce forma alla terra, scandendo i tempi di realizzazione e sul fascino dell’attesa, di asciugature e cotture. Ponendo l’accento sul tempo modellatore, o – come scrive Marguerite Yourcenar “grande scultore” – capace di dare forma sempre, anche quando il materiale siamo noi, queste sculture tonde, coronate di foglie, con un’apertura circolare ci permettono di avvertirne la cavità, il vuoto che c’è dentro. E come Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, anche Liliana Moro procede per “sottrazione di peso”, alleggerendo il frutto, scavando nel suo tempo passato e bloccandolo in un tempo presente, impotente, in cui solo la relazione col nostro sguardo può proiettarlo nel futuro.
Da sempre, la ricerca artistica di Melik Ohanian indaga il mondo dell’immagine e il suo potere allegorico e la dimensione spaziale e quella temporale possono essere identificate quali nodi centrali di tutta la sua poetica. In mostra nuove opere della serie Tomorrow Was. Senza indicazioni di tempo, né di spazio, questa serie medita su un possibile domani. Queste fotografie non si propongono di cogliere un istante preciso, bensì di speculare in un modo riflessivo su di una narrativa personale dello spettatore. Ciascuno, posto di fronte a questi frammenti di vita, sarà portato ad anticipare il proprio rapporto col mondo. In mostra anche opere della serie Portrait of Duration – Cesium Series , un lavoro che presenta i passaggi dallo stato solido a quello liquido del Cesio 133, elemento il cui decadimento radioattivo è stato usato a partire dal 1967 per stabilire la durata del secondo universale negli orologi atomici. Registrando il suo processo di trasformazione, ciascuna fotografia rappresenta il tempo attraverso la materia, e restituisce in modo speculare lo stato della materia a un certotempo T. Melik Ohanian investiga così l’osservazione e la rappresentazione della misura del tempo, e in particolare della sua unità di riferimento: il secondo. Sebbene il tempo rimanga un concetto relativo e astratto, queste immagini ne costituiscono “un ritratto attraverso la rappresentazione della materia che lo definisce” in una sorta di “tautologia fotografica”, come l’ha definita l’artista. Invece che semplicemente indicare o misurare il tempo, ce lo mostrano. Invitandoci a esperire il tempo attraverso il suo scorrere e quindi la sua misurazione, Ohanian propone uno scenario cosmico sospeso tra poesia e scienza. È “una ricerca di uno stato di consapevolezza”: un’oscillazione tra scenari cosmici e mentali, che richiamano i paesaggi surrealisti di Max Ernst.
Gli ex voto hanno rappresentano fin dal paleolitico un elemento di legame col divino, cui l’uomo si rivolge alla ricerca di forza e conforto. Questa antica forma di preghiera, in cui predominante è la presenza di figure umane, è portata in mostra grazie al lavoro di Namsal Siedlecki: una scultura in argento nata da alcune scansioni 3d che l’artista ha realizzato in Francia nel 2019, a Clermont Ferrand, nei cui pozzi votivi negli anni 60 sono stati ritrovati una serie di reperti archeologici risalenti al 50 a.C. Ex-voto scolpiti in legno di faggio e gettati in acqua come offerta ad una divinità dei Galli, Maponos.
Gettate invece nella Fontana di Trevi sono le monete d’argento usate per realizzare questa scultura. Nella fontana, ogni anno vengono gettati circa 2 milioni di euro di monetine, di cui per vari motivi l’8% non riesce ad essere cambiato. L’artista affascinato da questo insieme di desideri, intrappolati in una sorta di limbo quasi come se non si fossero compiuti ne ha comprato circa 500 kg. Siedlecki si sofferma sull’idea che in oltre 2000 anni l’umanità continua a ripetere lo specifico rituale di gettare qualcosa in acqua cercando un aiuto soprannaturale. Questi due desideri di due epoche distanti, entrambi legati all’acqua, qui si uniscono in un unico desiderio potenziato all’interno del liquido di una vasca galvanica.
INFO:
Galleria Michela Negrini
Via Dufour 1
6900 Lugano (CH)
Tel. 0041 91 9211717
Apertura al pubblico: martedì-domenica h.10.00-20.00 (su appuntamento)
info@michelanegrini.com
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