Serie TV

Fleabag, la serie TV più elettrizzante e devastante degli ultimi anni

Se stiamo a guardare solo l’incipit, non dovreste assolutamente guardare Fleabag. È una storiella squallida su una vita come tante andata male. La protagonista è la proprietaria di una caffetteria con seri problemi economici. Il suo ragazzo continua a lasciarla per via della sua abitudine a masturbarsi guardando i discorsi di Barack Obama, così riempie questo vuoto con incontri sessuali casuali con gente oggettivamente odiosa. Da qualche anno sua madre è morta e il padre si è rifatto una vita con la sua terribile madrina. La sua migliore amica è stata appena uccisa in un incidente stradale semi-intenzionale. In tutto questo continua ad avere flashback di un ricordo troppo traumatico da elaborare. Inoltre, non fatevi impressionale dai titoli di testa, sono fondamentalmente solo due secondi di irritante free jazz. Se dopo aver letto questo non avete gettato la spugna allora siete dei coraggiosi, ma soprattutto, siete pronti per iniziare a guardare Fleabag. E vi garantisco che quel coraggio sarà di gran lunga ripagato.

Phoebe Waller-Bridge, che ha creato e scritto la serie basata sul suo monologo teatrale omonimo, oltre ad essere la protagonista, ha creato qualcosa di veramente memorabile. Nessuno dei personaggi è neanche lontanamente simpatico. A parte la sua migliore amica morta, che si vede in brevi flashback. Nessuno di loro sembra felice. Sono tutti a pezzi, la loro energia viene spesa per deviare qualsiasi avvenimento la vita cerchi di lanciargli contro. Il che, ovviamente, è esilarante ma non riuscirete a capire perché finché non vi addentrerete completamente in questo mondo.

La prima stagione l’ho vista in una sera ed è stato amore, ma non un amore sano (da fiaba), un amore morboso e ossessivo. Ho dovuto aspettare, con impazienza, che passassero quelle dannate 24 ore per poter divorare anche la seconda stagione (sempre vista in una sera). Il cast vede attori del calibro di Olivia Colman, Bill Paterson e Brett Gelman, coinvolti in ruoli di una tale profondità inesplorata che difficilmente mi è capitato di incontrare, ma l’interprete di spicco è la stessa Waller-Bridge. L’odio per se stessa è così feroce e viene a galla in modi inaspettati, tanto che risulta impossibile toglierle gli occhi di dosso.

Come se la prima stagione non fosse già stata una bomba, arriva di seguito la seconda (e ahi noi anche l’ultima), dove, incredibile ma vero, la Waller-Bridge riesce ad alzare notevolmente l’asticella delle aspettative, tanto che ne rimarrete storditi e ammirati e, ammetto, un po’ commossi.
La seconda stagione segna la fine della serie tv su questa ragazza londinese alle prese con una famiglia problematica, la gestione delle sue finanze, l’elaborazione della morte della sua migliore amica e lo strano groviglio di relazioni insoddisfacenti e masochiste che lei stessa si crea.

Ci sono alcuni valori aggiunti che l’hanno resa davvero speciale. Punto uno: il sorprendente sviluppo della trama che ha visto andare completamente in frantumi lo schema che avevamo imparato ad apprezzare della “quarta parete” (ovvero quando l’attore si rivolge al pubblico mentre gli attori intorno a lui non se ne accorgono). Qui si rompe questo concetto, infrangendo ogni regola teatrale o cinematografica mai scritta. Il momento in cui arriva la fatidica frase, “Cos’era? Dove sei andata?”, è in assoluto il colpo di scena più meraviglioso, inaspettato e agghiacciante degli ultimi anni.

Punto due: le performance sbalorditive dei nuovi coprotagonisti. Andrew Scott, nei panni del prete (di cui non scopriamo mai il nome) è una figura che difficilmente dimenticherete e di una bravura incredibile, seguono a ruota Kristin Scott ThomasFiona Shaw nei camei. Inoltre Sian Clifford ha veramente dato il massimo. L’abbiamo conosciuta come Clair la sorella rigida della protagonista nella prima stagione, ma l’attenzione era chiaramente concentrata sulla vita travagliata di Fleabag. In questa seconda stagione, finalmente, quella rigidità è stata pienamente esplorata con una performance stratificata e ricca di sfumature. Clair ha mostrato le sue insicurezze e i modi in cui cerca di sfuggire al terribile marito Martin, il brillantemente viscido Brett Gelman, che merita, al contempo, un plauso per la sua performance, tanto da essere così totalmente insopportabile da sperare di non vederlo mai più.

L’episodio di apertura è stato definito geniale, ma è stato il terzo a distinguersi davvero. È incredibile come la Waller-Bridge riesca a racchiudere così tanto di tutto in soli 23 minuti, la parodia di Fleabag quando fa andare in frantumi il trofeo di vetro “che vale migliaia di dollari” proprio pochi secondi dopo che Claire si è raccomandata, “Non giocarci”. La folle corsa per Londra con il sottofondo dell’Orchestra Sinfonica di Mosca. Le battute eccentriche: “Oh, adoro le zucchine. Anche se le tratti male loro continuano a crescere!”. L’intonazione perfetta della commedia romantica/imbarazzante intorno al flirt tra Claire e … Klare. La potentissima scena dell’esplosione di rabbia di Claire: “Tu mi fai sentire un fallimento”.

Inoltre, il terzo episodio ha due momenti tra i più incredibili della televisione degli ultimi anni, il momento in cui il prete nota le “divagazioni” di Fleabag e il monologo di cinque minuti di Scott Thomas sul dolore delle donne. Spaventosamente accurato, esilarante e probabilmente il più inflazionato per gli anni a venire: “Le donne nascono con il dolore dentro di sé… è il nostro destino, dolori mestruali, tette gonfie, il parto. Capisci! Siamo destinate a sentire il dolore per tutta la vita. Gli uomini no. Devono cercarselo, così inventano ogni genere di demone per sentire i sensi di colpa, cosa che a noi invece viene del tutto naturale. Creano le guerre per poter provare qualcosa e quando non ci sono guerre c’è il rugby…” La terza puntata è una di quelle che, se fosse un libro, sarebbe praticamente tutta sottolineata e piena di appunti, da tenere sempre a portata di mano per farsi ispirare.

In tema di puntate da capogiro è impossibile non citare la quarta, con la scena incriminata che ha infiammato i social, gli animi e chi più ne ha più ne metta, quella la richiesta inaspettata: “Inginocchiati”. Non potrò più ascoltare questa frase con la stessa consapevolezza. Ha letteralmente sgretolando anche i più puritani animi in un vortice di lussuria rara.

Anche l’esplorazione del dolore ha un impatto decisivo in questa stagione, uno degli episodi è dedicato alla morte della madre di Fleabag e Clair, un argomento quasi volutamente evitato fino a quel momento. La Waller-Bridge è riuscita a catturare le contraddizioni e le complessità del dolore. Gli elementi spesso assurdi e incongrui dei funerali e delle veglie. Le emozioni inaspettate che si insinuano; l’umorismo di Fleabag che appare bellissima al funerale; l’incuriosne dell’allora fidanzato di Fleabag, che esagera il suo legame con la defunta come a voler “rubare il dolore”; la conversazione imbarazzante e straziante con suo padre.

Se proprio dovessi trovare qualcosa che non ha colpito nel segno, anche se questo mi costa fatica perché è praticamente tutto perfetto, allora potrei dire che, nonostante l’esplorazione del senso di colpa della protagonista per la morte della sua migliore amica Boo, tema centrale fin dalla prima stagione, non ha avuto una degna risoluzione.
A parte questo dettaglio, che resta più un rammarico che altro, la serie Fleabag è un capolavoro raro, il talento della Waller-Bridge di riuscire a concludere lo show rimanendo fedele a ogni sua singolare stranezza ha gratificato le aspettative. Come il momento di grande soddisfazione (soprattutto per il pubblico) di quando Claire finalmente si libera di Martin. Per un secondo tratteniamo il fiato durante il monologo (strepitoso) di lui, perché sembra che Clair potrebbe cedere da un momento all’altro. E invece, nonostante la confusione per il particolare dettaglio che è lei a chiedere a lui di lasciarla, troviamo un’altra gloriosa genuflessione.

Se non avete ancora visto Fleabag molto male, ma anche poco male perché la potete recuperare interamente su Amazon Prime Video. Fatelo!

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