Cinema

Sound of Metal, la recensione del film più silenziosamente rumoroso mai visto

Nel film Sound of Metal, che ha ricevuto ben sei nomination agli Oscar, senza però portarsi a casa nessuna statuetta, l’attore co-sceneggiatore e protagonista Riz Ahmed ha regalato al pubblico probabilmente l’interpretazione migliore della sua carriera, che gli è valsa la nomination proprio come miglior attore protagonista. Il film è disponibile su Amazon Prime Video.

In Sound of Metal Ahmed interpreta Ruben Stone, un batterista americano la cui vita viene sconvolta dalla rapida insorgenza della sordità. Lo stile della trama è incredibilmente realistica con un taglio docudrama. Ruben suona la batteria insieme alla cantante-chitarrista Lou (Olivia Cooke) nel duo heavy metal Blackgammon. Sono partner sia sul palco che nella vita, girano gli Stati Uniti in un camper che funge anche da studio di registrazione, sembrano abbastanza felici fino a quando Ruben si rende conto che non può sentire praticamente niente, una terrificante nebbia uditiva nella colonna sonora. La catastrofe è resa ancora più pesante dal fatto che è un ex-eroinomane in fase di recupero con seri problemi relazionali. Così si ritrova violentemente catapultato fuori dalla bolla di quotidianità costruita in tanti anni. L’ansia e il disagio sono palpabili fino dalle prime scene, la corsa per capire il problema e il conseguente consiglio del medico di evitare suoni forti, che viene ignorato, trascinano anche lo spettatore a fondo nelle sensazioni, sentendosi completamente coinvolti emotivamente nel film. Ruben, preso dallo sconforto per il precipitare della situazione, contatta il suo sponsor, Hector, che gli suggerisce di affidarsi a una comunità terapeutica gestita da un ingrigito veterano del Vietnam di nome Joe, brillantemente interpretato da Paul Raci, egli stesso figlio di genitori sordi, anche lui candidato come miglior attore non protagonista.

Quando Ruben si trova da Joe gli viene offerta la possibilità di una nuova vita. La convinzione di Joe è che le persone con problemi di udito debbano “imparare ad essere sorde”: imparare ad accettare la loro condizione come una valida alternativa e trovare la quiete dentro di sé, che è il presupposto vitale per questo processo di apprendimento. Ma Ruben, arrabbiato e sconcertato, sta ancora progettando di mettere insieme i soldi per un intervento chirurgico costoso e rischioso che gli possa restituire parte dell’udito, anche se questo potrebbe significare sabotando la carriera musicale.

Percepiamo il devastante cambio di abitudini a cui il protagonista viene messo di fronte e che potrebbero salvargli o distruggergli la vita: accettare la sordità e accoglierla come una nuova normalità oppure abbandonarsi alla disperazione e la speranza di riacquistare l’udito?

Ahmed da detto, “La comunità sorda mi ha insegnato cosa significa ascoltare”, descrivendo la fisicità delle azioni nell’usare tutto il corpo come strumento espressivo. C’è qualcosa di sublime nel vedere Ahmed creare un personaggio così complesso, come se la sua arte fosse stata amplificata dall’apprendimento di questa nuova lingua. Mentre Ruben può nascondersi dietro le sue parole, Ahmed ha una forza espressiva particolarmente emotiva quando comunica attraverso il linguaggio dei segni.

C’è un’abile allusione nel titolo, Sound of Metal, alle tonalità distorte che affliggo Ruben quando si rivolge alla struttura che innesta gli impianti cocleari, contro il consiglio di Joe. Avendo brillantemente suscitato l’esperienza delle vibrazioni fisiche, piuttosto che auditive, Ruben riesce a percepire la batteria anche se non può sentirla, rimandandone una sensazione dolce e rilassante. In questo modo, il compositore Nicolas Becker e il suo team, creano una dura dissonanza elettronica in contrasto che sembra riecheggiare il conflitto interiore di Ruben. Nello stesso modo in cui la dipendenza è un tema centrale, così anche il disperato desiderio di Ruben di essere operato, nella speranza di riacquistare ciò che gli è già stato detto essere andato perduto, diventa una metafora di una più ampia crisi di fede, una lotta d’identità. Una lotta interiore, quella di Ruben, che lo porta a essere prima accettato dalla comunità in cui si trova, diventandone quasi linfa vitale, e da cui poi viene estraniato.

Sound of Metal è un film doloroso, riflessivo e cupo che racchiude una lunga storia in pochi mesi. Ruben trova più o meno subito un medico per i test dell’udito, più o meno subito trova un posto nella comunità di Joe, più o meno subito passa dall’incomprensione silenziosa alla saggezza che lo rende un prezioso studente-insegnante per i ragazzi sordi. C’è una bella scena iniziale in cui Ruben è invitato a scrivere il suo nome sulla lavagna, e lui lo scarabocchia con veemenza a lettere enormi, facendo trasalire tutti i bambini. È l’equivalente di un urlo.

Con una verosimiglianza sorprendente, Marder evoca un mondo in cui ogni dettaglio sembra sprigionare suono. Tutto inizia con un’atmosfera sfrenatamente rumorosa delle esibizioni live, riprese di fronte a una vera folla; agli accesi dibattiti di gruppo condotti con il linguaggio dei segni intorno a un tavolo da pranzo, sono suoni e silenzi che hanno la stessa potenza.

All’inizio si ha la percezione che Sound of Metal sia tutto incentrato sullo scontro tra Ruben e Joe e sulle loro differenze di opinione. In realtà la narrazione va molto oltre, finendo con l’intrecciarsi in una sotto trama altrettanto di spessore di percorsi incompiuti e non chiusi, affrontando la dolorosa storia di Lou e al suo rapporto con il padre Richard, interpretato da Mathieu Amalric. Il dolore viene esplorato in mutevoli sfumature: ci scontriamo con l’improvvisa disabilità, la dipendenza, l’abbandono, la consapevolezza. Sound of Metal cerca di fare qualcosa di complesso mettendo insieme differenti fili narrativi senza sminuire nessuna delle difficoltà affrontate dai personaggi, raggiungendo il climax con l’epifania finale di Ruben.

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