Philipp Kadelbach, regista e co-creatore della serie tv “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, in uscita il 7 maggio su Amazon Prime Video, ha raccontato che il suo impulso iniziale, quando gli è stato proposto di dirigere la serie, è stato quello di scappare a gambe levate. Perché la vedeva come una missione folle, visto lo status iconico che si era creato, prima attorno al libro uscito nel 1987 scritto a quattro mani da due giornalisti insieme a una ragazza, l’allora sconosciuta Christiane F., e in seguito con l’uscita del film di Uli Edel del 1981, momento in cui è esploso il successo. Christiane è stata consacrata a testimonial dell’anti-droga, esempio vivente di come non si dovrebbe vivere.
Lo stesso Kadelbach racconta di aver detto, “’Non ho intenzione di farlo. Non sono pazzo. Perché è come un monumento per tante persone. E tutti inizierebbero ad attaccarmi perché sono andato a raccontare, di nuovo, questa storia davvero amata”.
Tuttavia, dopo aver letto la sceneggiatura di Annette Hess, ha apprezzato come la stessa abbia deciso di affrontare il materiale in modo diverso rispetto al film, che aveva un approccio più voyeuristico sul soggetto. Così ha deciso di dare un taglio diverso alla serie tv in modo tale che i prodotti non potessero, in alcun modo, essere paragonati. Sicuramente è stata una scelta azzardata, in una manciata di decenni “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è diventato un cult, una tappa letteraria e formativa imprescindibile per adolescenti e ragazzi.
Ma i giovani di oggi riusciranno ad apprezzare e empatizzare con i fatti di una storia così poco contemporanea? L’uscita del film combaciava con il periodo in cui l’eroina faceva stragi in Italia e nel resto d’Europa. La tossicodipendenza, raccontata prima nel libro e poi nell’omonimo film, era un tema quasi “segreto” che restava nei centri di accoglienza. Ma adesso queste storie sono state tutte svelate e non ci sono segreti rispetto a quel periodo storico disperato. Quindi, come rendere il prodotto interessante, coinvolgente, ma soprattutto mantenendo il suo necessario scopo, disincentivare i giovani a fare uso di droghe?
Subito dal trailer si capisce che gli si è dato un tocco pop, ma il ritmo è serrato, assolutamente differente dal film cult, non manca di fungere da trigger warning con immagini e temi destabilizzanti: abusi domestici, violenza, tossicodipendenza, prostituzione. Perché nonostante siano passati anni, l’esperienza di Christiane F. ha ancora un impatto incredibile proprio perché vera, cruda, realistica. La scelta della protagonista è ricaduta sull’attrice Jana McKinnon, il regista stava cercando un look particolare che non fosse né troppo dolce ma né troppo freddo, che rimanesse tra l’empatico e l’arrogante. Christiane ha una certa innocenza, ma sembra essere alla ricerca di qualcosa, è inarrestabile, vuole essere integrata nei gruppi, non si ferma davanti a niente. È spinta da qualcosa. Nonostante il ruolo centrale è sicuramente quello di Christiane, si capisce sin da subito che il cast, ovvero gli amici del gruppo del Bahnhof Zoo (l’iconica stazione della metro di Berlino usata come punto di ritrovo) sono assolutamente co-protagonisti per rendere la serie un’opera corale. Come Christiane, anche Stella, Babsi, Axel, Michi e Benno si ritrovano tutti sullo stesso piano quando si scontrano, praticamente da bambini, con la droga e tutto quello che gira attorno a quel mondo. Vivono insieme la prima scarica di adrenalina e tutte le conseguenze che da essa derivano.
La scelta di fare un focus su tutti e sei i personaggi, piuttosto che solo su Christiane, è dovuta in parte al fatto che Kadelbach, Hess e Berben hanno ripreso in mano i nastri originali delle interviste fatte dai giornalisti alla vera Christiane F. e che costituiscono la base del libro. Le parole ascoltate nei nastri hanno rivelato molte più storie e questo ha permesso di creare gli otto episodi della serie “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, in questo modo è stato possibile ricreare le circostanze che hanno portato i giovani sulla strada della droga. Il gruppo di amici si disfa mentre diventano dipendenti dall’eroina, pagata con la prostituzione. I traumi individuali degli amici, come dice la sinossi della serie, li trascinano in un vortice da cui alcuni non usciranno mai.
Anche se ambientata nella Berlino Ovest della metà degli anni ’70, la serie ha un’estetica moderna, l’abuso di droghe, anche se in modalità differenti, è un tema ancora molto attuale, per questo Kadelbach ha deciso di evitare un’atmosfera troppo retrò, in modo da renderla più contemporanea. Anche i personaggi non hanno un aspetto anni ’70, che li avrebbe troppo stereotipati in un determinato periodo, rischiando di trasformarli solo in “storie” e non in persone. Non è nemmeno una rappresentazione realistica della Berlino degli anni ’70, sarebbe stato un errore concettuale vista la scelta adottata.
Quello che arriva è il racconto della storia dalla prospettiva intima e personale dei personaggi, cercando di far uscire i loro sentimenti. Anche il fatto che tutto abbia colori particolarmente accesi è simbolico di un’esperienza, man mano che la droga si impadronisce dei giovani, la loro percezione cambia, questo si riflette nello stile visivo degli episodi che evolvono di puntata in puntata. Così si arriverà a un totale cambio di fotografia dai primi due episodi agli ultimi. La vera sfida della serie tv “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” sarà riuscire a restare realistica nonostante sia davvero distante dal mondo di oggi: le marchette per comprare l’eroina, le iniezioni dentro bagni pubblici disgustosamente sporchi, le crisi di astinenza, la musica di Heroes di David Bowie, in un mondo senza cellulari, computer, Internet e i social media. Un altro mondo!
La storia di Christiane F., a noi adolescenti di inizi anni “80, ci destabilizzava perché era abbastanza simile alla nostra vita, o a quello che ci terrorizzava di più. Ma Christiane F. (nome completo Christiane Vera Felscherinow) adesso è una donna di 58 anni, con un’epatite che non la lascia vivere bene e combatte ancora con il suo passato. Quando ha raccontato la sua storia negli anni ’70 ha aperto un vaso di pandora portando a galla i lati più oscuri e terrificanti della società, di lei si parlava alla tv, sui giornali, nei circoli letterari e intellettuali. Senza averne la più pallida idea, con le sue memorie, di una famiglia incurante, la caduta nella droga, la prostituzione, la perdita di alcuni amici, i furti, è diventata un pilastro nella formazione per milioni di ragazzi (e genitori) che di tossicodipendenza non sapevano nulla. Ma a oggi riuscirà ancora a sortire lo stesso effetto?
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