La nebbia calata sul nostro paese è densa e spessa, particelle di lamentele e malcontento si mescolano a mascherine abbassate e a frustrazione deviando l’attenzione da tutto il resto, soprattutto da tutto il resto che conta. Questa nebbia lattiginosa ricorda un po’ la cecità di Saramago, navighiamo in un’atmosfera torbida e perdiamo di vista il rispetto dell’altro, della sua inviolabile capacità di autodeterminazione e dei suoi diritti. Da questa cecità selettiva, però, alcune persone ne escono più sconfitte di altre e le donne più di tutti. Il fiato sospeso e l’indignazione seguita alla contrazione del diritto all’aborto in Polonia ha avuto una forte eco in Italia, ma non come ci aspetterebbe. Se i movimenti femministi hanno espresso solidarietà, i gruppi politici hanno visto al pari dei colleghi polacchi l’occasione per iniziare a stringere quell’imbuto, già quasi inaccessibile, che è il diritto all’aborto sicuro.
A fine gennaio nelle Marche, una delle regioni in cui è statisticamente più difficile abortire, La Regione ha respinto le linee guida emanate dal Ministero della Salute riguardo la somministrazione della RU486, impedendone dunque la somministrazione nei consultori. Carlo Ciccioli, presidente del gruppo Fratelli d’Italia Regione Marche, aveva motivato la scelta asserendo che a fronte della crescente natalità di persone figlie di genitori nati in altri paesi sia fondamentale difendere il diritto alla natalità ovvero “la sua identità e la sua capacità di riproduzione” per tutelare e affermare la dignità di un popolo. La tesi della sostituzione etnica, unita al conservatorismo cattolico latente, stanno iniziando a suonare sinistramente come la negazione per inazione del diritto all’aborto. Rendendo difficile accedervi, complice l’abbacinante percentuale di ginecologi obiettori di coscienza, circa 7 su 10 secondo quanto riportato dall’Ansa con un picco pari al 93.30% in Molise, l’aborto appare sempre più come un qualcosa di inarrivabile, stigmatizzato e sbagliato. Una rivoluzione culturale inversa che, come direbbe Eco, altro non è che la manifestazione della tendenza del nostro paese a procedere “a passo di gambero”, una retrocessione in termini di diritti che, guarda caso, lede proprio uno dei gruppi storicamente più oppressi e discriminati al mondo: le donne.
Il 23 gennaio, anche la Lombardia ha calato la maschera e inserito la retromarcia. Il consiglio regionale hanno votato “no” alla proposta di legge iniziativa “Aborto al sicuro” rigettando i vari punti presentati tra cui il diritto all’accesso ad una informazione adeguata e sicura, al potenziamento dei consultori e della medicina territoriale e ai corsi di formazione per gli operatori sanitari sulle tecniche più sicure e moderne di aborto. La campagna Aborto al Sicuro nata nel novembre 2018 è promossa da Associazione Radicale Milanese Enzo Tortora, Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani e da svariati gruppi e associazioni.
Questi “no” e queste restrizioni negano de facto, ma non de jure, alle donne l’accesso ad un loro diritto fondamentale: il diritto ad un aborto sano e sicuro, facente parte del diritto alla salute sancito addirittura all’articolo 32 della Costituzione in cui è chiaramente enunciato che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo […]” e ancora “La Legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La Repubblica non può sottrarsi al dovere di garantire alle donne la sicurezza di interventi adeguati in strutture sanitarie consone e non può in alcun modo costringere all’illegalità della procedura. Queste azioni, che paiono isolate ma hanno una chiara geografia diffusa, invece non fanno altro che far scivolare l’aborto nell’illegalità, nella precarietà, nella vergogna e nel rischio per la vita umana. Ed invece, questa è la colpa di cui si sta silenziosamente macchiando la Repubblica tollerando questo genere di politiche.
Secondo i dati OMS tra il 2010 e il 2014 il 45% degli aborti nel mondo è stato praticato in condizioni inadeguate, circa 7 milioni di donne, nei paesi in via di sviluppo, sono state ricoverate per complicazioni connesse ad aborti non sicuri per un costo di circa 533 milioni di dollari derivato dalle cure, spesso salvavita, necessarie. Ogni anno tra il 4,7% e il 13,2% delle morti materne sono attribuiti a procedure di aborto pericolose messe in atto da personale non preparato. Attualmente il 40% delle donne nel mondo ha accesso all’aborto legale, quindi praticato all’interno di strutture adeguate con personale formato e competente, 4 donne su 10 per intenderci. Quello che non viene considerato in questa statistica sono proprio questi piccoli provvedimenti, questo taglia e cuci diffuso e invisibile, perché in tempo di pandemia chi si preoccupa dei diritti umani se non chi vede i propri venire sottratti, che sta delineando un nuovo perimetro sempre più stretto intorno al diritto all’aborto. Mentre in paesi come l’Argentina o la Corea del Sud si compiono finalmente le necessarie legalizzazioni ci sono paesi come il nostro e la Polonia, non a caso due paesi fortemente cattolici, che cercano in ogni modo possibile di impedire alle donne di scegliere se e quanto diventare madri stigmatizzando una pratica assolutamente funzionale all’integrità fisica e mentale delle donne e negando loro il più semplice determinismo. Umbria Notizie ha riportato di recente le parole del dott. Giovanni Mazzotta, Medico Chirurgo specialista in Neurologia e Psichiatria, secondo cui “Laicamente e razionalmente non esiste una conquista più grande per una donna che portare alla vita un figlio”. La libertà di scegliere chi essere non è contemplata secondo questo schema di pensiero per cui le donne hanno un solo ed unico scopo nella vita: diventare madri. Questa mentalità vede le donne non come individui, esseri umani senzienti capaci di operare scelte autonome, ma come centri di riproduzione su gambe: le donne sono il loro utero, sul quale non hanno possibilità di scelta.
L’Italia è un paese misogino e antiabortista e mentre questa nebbia s’addensa tutt’intorno, soffocando e ovattando qualsiasi verità si sta mostrando per cos’è e cosa aspira a diventare. In questa stessa nebbia però, noi donne siamo pronte a difendere il nostro diritto in quanto individui e cittadini di un paese che si basa proprio sulla tutela e l’autonomia della nostra scelta. Incendieremo torce e accenderemo fiamme per mostrare questo volto osceno e antico che sta risorgendo aggredendoci e limitandoci. Lo metteremo a nudo e lo sconfiggeremo, perché è un nostro essenziale diritto evitare che il paese che ha gestito la pandemia a tarallucci e vino si beva la nostra dignità di esseri umani e si trasformi nell’Atwoodiano Gilead.
Nolite bastardes corbondorum, fino alla fine il diritto all’aborto è un diritto umano.
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