La serie Ratched si è guadagnata tre nomination ai Golden Globes nonostante sia una grottesca caricatura del personaggio originale del romanzo, è in lizza per: Miglior serie drammatica, Miglior attrice protagonista di una serie tv Drama, Miglior attrice non protagonista in tv.
Lo scrittore Ken Kesey basò il personaggio dell’infermiera Ratched, la cattiva del suo romanzo “Qualcuno volò sul nido del cuculo” uscito nel 1962, su una persona reale, un’infermiera incontrata una volta mentre faceva il turno di notte in una struttura psichiatrica in Oregon. Lo stesso Kesey ha ammesso più tardi, di aver esasperato il personaggio rendendolo molto più crudele per creare un effetto più teatralizzato in modo tale da trasformarla in un simbolo di controllo autoritario e barbarie ingiustificate, una persona che prova piacere nel torturare i suoi pazienti attraverso una combinazione di potere medico e manipolazione psicologica, insomma il risultato è stato una potente denuncia sociale.
In seguito il regista Milos Forman ha ammesso di aver faticato a trovare l’attrice giusta per il ruolo di Ratched nel suo riadattamento cinematografico, molte rifiutarono il ruolo, come Anne Bancroft, Angela Lansbury, Geraldine Page, Colleen Dewhurst, ed Ellen Burstyn, considerando il personaggio troppo maniacale e insensibile. Il ruolo alla fine andò a Louise Fletcher, un’attrice meno conosciuta che fino a quel momento aveva lavorato solo su progetti western per la tv. La Fletcher, in seguito ammise disse di aver trovato il ruolo della Ratched terribilmente complesso e difficile da interpretare, ma le valse l’Oscar come miglior attrice.
Sia la caratterizzazione di Kesey, che quella di Forman dell’infermiera Ratched, come frigida incarnazione di una femminilità istituzionale che serve sia a neutralizzare che a negare gli impulsi maliziosi degli uomini, sono state plasmate dal compiaciuto machismo dei loro tempi. La Ratched, che Kesey descrisse in un’intervista come una “grande infermiera castigatrice”, viene vista come la mamma cattiva dell’allegro burlone Randle McMurphy interpretato da Jack Nicholson, una donna glaciale che si frappone tra lui e il divertimento, un personaggio forte e terrificante, necessario per dare la misura di quello che era follia punita e follia celata dalle istituzioni.
Tutto questo muore nella serie tv di Netflix, la caricatura esageratamente grottesca di Mildred Ratched, interpretata da Sarah Paulson, fa un po’ storcere il naso a tutti quelli che hanno amato il film e il libro originali, tanto da chiedersi come mai abbiano voluto scrivere, “basata sul personaggio di Ratched” di cui in realtà ne rimane solo il cognome, perché così diversa in tutto, soprattutto nel messaggio che voleva trasmettere, a questo punto forse sarebbe stato meglio darle una connotazione nuova e originale.
In “Ratched”, il drama Netflix creato da Evan Romansky e prodotto da Ian Brennan e Ryan Murphy, è stata raccontata la storia, dalle origini, della nascita di un personaggio destinato a diventare oscuro, diciamo un cattivo. Un format molto di tendenza in questo momento, come il prequel, a breve in uscita, basato su Crudelia de Mon con Emma Stone, dove scopriremo come mai è diventata una delle cattive più cattive del cinema. Allo stesso modo anche Ratched non è sempre stata un mostro, un’arpia, una bisbetica, anche lei una volta era giovane e pura, se avesse avuto un percorso diverso sarebbe stata una persona diversa?
La serie non ci va per il sottile nel raccontare il marciume che ha corrotto il cuore della sua protagonista, infatti, sono esplicitati tutti i momenti chiave che hanno portato la donna a diventare quella che è, prima con molteplici flashback, poi sotto forma di uno spettacolo di marionette e infine, in un monologo sdolcinato in cui la Paulson racconta il suo trauma più profondo, affinché lo spettatore rimanga confuso. Quello che arriviamo a scoprire attraverso i diversi racconti è che la Ratched era un’orfana rimbalzata di casa in casa per colpa di un sistema traballante, insieme a lei un ragazzo che considerava suo fratello, ad un certo punto finiscono a vivere in una famiglia particolarmente contorta. Quello che lei confessa della sua infanzia, senza svelare troppo, è esattamente quello che tutti ci aspettavamo, una storia macabra che parla di abusi sessuali e violenze, un chiche visto e rivisto. Considerando, tra l’altro, che il creatore della serie è lo stesso di “American Horror Story”, forse ci si poteva aspettare qualcosa di più originale, visto che lui stesso ha costantemente cercato di spingersi sempre un po’ oltre i confini di quello che solitamente troviamo in tv. Invece, tirando le somme, Ratched sembra non essere nemmeno all’altezza di “AHS.”, ma bensì un calderone di tutte le tradizionali ossessioni di Murphy. I dialoghi sono pungenti e veloci tipici delle altre sue commedie misantropiche come “Glee” e “The Politician”, dove tutti i personaggio sono “programmati” nell’arte della battuta malvagia. Non manca la riluttante teatralità del corpo sottoposto alla sala operatoria, come nella sua serie sulla chirurgia plastica “Nip/Tuck”, in una scena iniziale di Ratched, siamo brutalmente spinti a guardare una lobotomia frontale, eseguita, come da copione, con un punteruolo da ghiaccio attraverso un’orbita oculare.
Quando finalmente iniziamo a entrare nella storia, dopo un breve, sanguinoso omicidio a sangue freddo, incontriamo una Mildred Ratched mentre guida lungo la costa della California centrale in una brillante coupé blu. Un’ampia inquadratura panoramica rivela la grandezza dell’oceano, le onde che si infrangono contro le rocce, proponendoci una scenografia incredibile dai toni forti, dal budget illimitato. Gli abiti della Paulson, come estensione di questa grandiosità, sono sontuosi e di alta sartoria, sembra quasi avere una scorta infinita di indumenti alla moda dai toni brillanti con piccoli e deliziosi cappelli da abbinare.
Capiamo fin dalle sue prime battute che Mildred Ratched non è il tipo di donna riservata e asettica, si rivolge a un benzinaio in modo sfacciato dicendogli che puzza e ha bisogno di fare un bagno, dopo si registra da sola in un motel sul ciglio della strada per poi proseguire verso la sua destinazione, una scintillante struttura psichiatrica gestita dal dottor Richard Hanover, interpretato da Jon Jon Briones, un appassionato di lobotomia con una dipendenza per alcuni medicinali poco raccomandabili, incontriamo subito anche la sua assistente Betsy Bucket, interpretata da Judy Davis, la caposala sofferente con un aspetto da cane bastonato e un’aria di superiorità. L’infermiera Ratched chiede al dottor Hanover di essere assunta e, quando le viene negato, escogita un piano subdolo per ottenere il lavoro. Alla fine dell’episodio pilota, essendosi assicurata la sua posizione, scende nel seminterrato per visitare l’ultimo detenuto dell’ospedale, uno psicopatico chiamato Edmund Tolleson, il quale ha brutalmente ucciso quattro preti. È solo allora che scopriamo essere suo “fratello”, ovvero il giovane con cui l’infermiera Ratched è cresciuta, lei è lì perché ha escogitato un piano per aiutarlo a scappare, ma tranquilli non è uno spoiler, questo succede proprio subito.
Ci vogliono tutti e otto gli episodi perché il tentativo di fuga prenda forma, ma a quel punto la trama è diventata così tanto contorta che non ha quasi importanza il piano iniziale. Ci sono storie di pazienti immersi in acqua bollente come forma di terapia per convertirli dall’omosessualità, pazienti che si suicidano, una donna con personalità multiple stravaganti, interventi chirurgici in camera d’albergo con strumenti contundenti, atti di deviazione sessuale tra un assassino condannato e una libidinosa infermiera, un sicario arrivato in città per trovare e uccidere il dottor Hanover, il quale occupa, guarda caso, una stanza proprio a fianco a quella di Mildred, i due iniziano una sordida relazione dove non mancano deviati giochi di ruolo. Conosciamo il governatore della California, Vincent D’Onofrio, che ha un interesse speciale per la struttura del dottor Hanover in concomitanza con la sua nuova campagna elettorale e la sua segretaria personale, Cynthia Nixon, che invece ha un interesse speciale per l’infermiera Ratched. Anche da qui nasce un’altra relazione saffica clandestina, la parte più toccante di “Ratched”, sembra quasi voler raccontare il desiderio represso rappresentato da Todd Haynes in “Carol”, che ha portato al ritratto del romanticismo queer di questo secolo, però manca dell’eleganza sottintesa che ha reso il film di Haynes brillante.
Forse questa è la debolezza di “Ratched”, non c’è niente che ribolle sotto la superficie, Romansky e Murphy riversato tutto il loro bagaglio di esperienze sullo schermo, tutto insieme per creare qualcosa di grandioso ma non hanno badato a metterci della vera sostanza, nonostante avessero a disposizione un cast di eccellenze. Judy Davis fa un lavoro incredibile nell’interpretare una donna anziana e trascurata alla fine della sua vita. Sharon Stone, che irrompe in un paio di episodi come un’ereditiera vanitosa che porta una scimmia sulla spalla, fa una performance stravagante è perfetta per il ruolo che interpreta, molto affascinante. La Paulson, che nei precedenti progetti di Murphy ha portato sulla scena performance eccellenti, in questo caso fa del suo meglio per mantenere in piedi la storia mentre si avvia pericolosamente su un terreno sempre più sconnesso, ma né Mildred né le altre donne di “Ratched” si avvicinano a sembrare persone che possano esistere nel mondo reale o che possano stare in piedi. Sicuramente quello di cui non possono lamentarsi è che gli siano stati dati pochi ruoli o ruoli di basso valore, come invece fece la Fletcher al tempo del film, ma questa serie è la prova che a volte forzare la mano a tutti i costi sui personaggi femminili solo perché lo chiede il mercato non è la scelta vincente, in questo caso è stato uno spreco di risorse.
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