Framing Britney Spears, lo straziante documentario sulla vita della popstar, la sua ascesa e la sua caduta sono state raccontate in moltissime occasioni, questo documentario prova a ridefinire la narrazione assurda in cui Britney vive da oltre un decennio. Dei molti miti che gravitano attorno alla figura di Britney Spears, il più subdolo è quello che non abbia nessun talento ma sia solo una bella marionetta costruita per fare la popstar, l’ingranaggio più esposto di una macchina per far soldi. Per tutta la sua carriera è stata perseguitata da queste illazioni, nate dal fatto che fosse sotto il completo controllo di influenze esterne e totalmente vulnerabile, questa tensione è parte di ciò che l’ha resa spesso un bersaglio fin troppo facile.
Nel documentario Framing Britney Spears, che si può trovare in streaming su Hulu, in Italia visibile solo per chi ha un’apposita Vpn, si esaminano questi problemi sotto una nuova luce, culminando con il recente movimento #FreeBritney, guidato dai fan che protestano contro la tutela legale forzata della 39enne da parte di suo padre, Jamie Spears, che ne detiene il controllo sia sulle finanze che praticamente su ogni altro aspetto della sua vita.
Per capire come la Spears sia arrivata fin qui la regista Samantha Stark inserisce nella storia tutti i passaggi della carriera della cantante: l’ascesa, la caduta, la tutela, il suo ritorno, il suo ritiro e tutto ciò che sta in mezzo in un contesto più ampio, con un occhio attento agli avvenimenti e la crescente popolarità che hanno plasmato, non solo la percezione pubblica della Spears, ma la storia della sua vita.
Una ragazza umile del Kentwood, con una voce sorprendente e carisma da vendere, la Spears ha iniziato la sua carriera quando è stata scritturata a 11 anni nel Mickey Mouse Club della Disney, apparendo accanto a Christina Aguilera, Ryan Gosling e altre star. Sei anni dopo è uscito il suo album di debutto, Baby One More Time che la portò sul trono delle teen-pop degli anni ’90, lanciandola rapidamente verso una carriera stellare. Ha pubblicato i suoi primi tre album nei tre anni consecutivi, con il suo quarto, In the Zone del 2003, si è aggiudicata il primo, e finora unico, Grammy grazie al singolo “Toxic”, ma, mentre le vendite dei suoi album andavano alle stelle e la sua popolarità cresceva, iniziò a uscire sui giornali quell’immagine provocatoria e trasgressiva, le critiche iniziarono ad arrivare come feroci leoni famelici, i tabloid non facevano altro che farle domande a proposito della sua evoluzione malsana e del suo disagio, mettendola all’angolo con domande sessiste. La prospettiva dei media cambiò drasticamente, da principessina candida a personaggio negativo e controverso. Tutto si inasprì ulteriormente quando Britney Spears si sposo e divorziò in breve tempo per ben due volte, da quel momento iniziò il declino dall’immagine di brava ragazza che l’aveva resa famosa.
Il documentario si intitola Framing Britney Spears proprio perché è sempre stata inquadrata in diversi modi: come una star, come una poco di buono, come una psicopatica, come una drogata attraverso gli occhi di chi la adorava e chi la odiava, ma a parte la sua musica, lei non ha mai fatto nulla per modificare la narrazione che le veniva attribuita, non c’era una piattaforma che le permettesse di farlo personalmente. Uno dei momenti più devastanti arriva dopo la fine della storia d’amore con Justin Timberlake, che ha sfruttato il sessismo latente degli americani per mostrarla come la cattiva di turno, mentre lui vestiva i panni della vittima per la loro rottura, addirittura nel famoso video “Cry Me a River”, si vede un’inconfondibile sosia della Spears a interpretare la traditrice.
Per aiutare a cambiare il punto focale della narrazione la Stark intervista ex membri della cerchia ristretta della Spears, tra cui Felicia Culotta, la sua storica assistente, ha accettato di apparire nel film “per ricordare alla gente perché si sono innamorata della Spears all’inizio” e così ci viene ricordato dall’affettuosa Culotta, insieme ad altri collaboratori della Spears, il talento entusiasmante e la dolcezza solare che hanno caratterizzato la sua ascesa fulminea, mentre si dissipa la persistente idea di una Britney senza cervello marionetta della macchina del pop.
Gli elogi non sono stati comunque stati sufficienti a impedire alla Spears di precipitare, verso la metà degli anni ’90, quando il pubblico, influenzato da un sistema intrinsecamente misogino, cominciò a rivoltarsi contro di lei, fu presto perseguitata e molestata fino ad arrivare a un definitivo punto di rottura. Per chiunque abbia vissuto nel 2007 gli sarà impossibile dimenticare le foto della Spears con la testa rasata o che colpisce l’auto di un paparazzo con un ombrello. Questi momenti sono stati commentati dal pubblico con una spietata cattiveria mentre le persecuzioni continuavano, come nel filmato dove viene assalita dai paparazzi che non hanno nessuna impudenza a violare il suo spazio, trattandola come se fosse solo un oggetto, sono immagini inquietanti da rivisitare a oggi.
La prospettiva cruciale che il film della Stark fornisce è quella di puntare l’obiettivo, non solo sulle azioni della cantante, ma anche verso tutti coloro che le hanno fissato le loro affamate macchine fotografiche addosso mentre passava dei momenti difficili, così come il pubblico, altrettanto famelico, che non aspettava altro di poter vedere quelle immagini. Il documentario vuole togliere questo lurido primo strato per mostrare quello che c’è sotto, cercando di entrare in empatia con la cantante. Quando la Spears si rasa la testa non si legge tanto come uno sfogo “folle”, quanto come una disperata rivendicazione della sua persona in un ambiente che le ha costantemente negato la libertà di essere sé stessa.
Il crollo nel 2007 avrebbe ha portato suo padre, che in precedenza era stato poco coinvolto nella sua carriera, ad essere nominato tutore unico della sua persona e co-conservatore del suo patrimonio insieme all’avvocato Andrew Wallet. Sotto la tutela, inizialmente concessa come misura temporanea, poi estesa, Jamie Spears supervisiona e detiene qualsiasi decisione finale sulla carriera, le finanze e gli affari personali della figlia. La cantante si era tristemente rassegnata all’esistenza dell’accordo, aveva solo una richiesta: che suo padre non fosse il suo tutore. Tredici anni dopo, invece, lo è ancora, anche dopo i problemi di salute di Jamie nel 2019, Jodi Montgomery, il manager della Spears, è stato nominato tutore temporaneo della donna, la richiesta della Spears era che Montgomery assumesse il ruolo in modo permanente, ma non è stata accolta.
Avere un tutore è davvero insolito per una donna dell’età della Spears, la natura singolare di questo accordo ha portato ad alcuni sviluppi ancora più strani, come la richiesta da parte di Wallet di un aumento a causa della natura “business-ibrida” della conservatoria, quando subito dopo si è dimesso dal ruolo per essere soppiantato dalla banca Bessemer Trust. Tuttavia, la maggior parte dei dettagli riguardo alla tutela sono avvolti nel mistero e hanno portato i fan della cantante a creare il movimento #FreeBritney, nato sui social con l’obiettivo di liberare la cantante dal “padre padrone”, Jamie Spears ha sempre negato le accuse di tenere sua figlia prigioniera della sua vita, dicendo che si tratta di teorie del complotto. #FreeBritney nasce dalla convinzione da parte dei sostenitori che l’icona pop dovrebbe avere il controllo della sua vita, oltre che delle sue finanza. Negli ultimi mesi la Spears, per la prima volta, ha riconosciuto pubblicamente il sostegno che ha ricevuto dai suoi fan, il che li ha incoraggiato ulteriormente a continuare.
Troppe informazioni sono state oscurate dalle parti coinvolte perché il documentario possa giungere a una conclusione concreta sulla verità attuale della situazione, sia mentale, che legale o finanziaria della Spears. Tuttavia, dopo aver visto i fatti, nonostante si possa dare il beneficio del dubbio, è difficile credere che non le sia stato fatto ripetutamente alcun torto, la sofferenza subita per oltre un decennio non può essere cancellata.
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