Il processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin arriva a quota 5 nomination per i Golden Globes 2021, assolutamente meritate, il regista è noto per i suoi drammi politici, tra cui The West Wing (Tutti gli uomini del Presidente), The Newsroom e Charlie Wilson’s War (La guerra di Charlie Wilson), tutti progetti che hanno ridefinito il concetto di film dedicato a temi politici con uno stile di altissimo livello, capace di raccontare ma, nello stesso tempo, di non annoiare mai. Con il suo ultimo film “Il processo ai Chicago 7”, che si può vedere su Netflix, non ha fatto eccezione. Le nomination sono: Miglior film drammatico, Miglior Regista, Miglior attore non protagonista Sacha Baron Cohen, Migliore sceneggiatura, Migliore canzone originale “Hear My Voice”.
La pellicola narra del processo ai cosiddetti Chicago Sette, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver cospirato per causare lo scontro tra i manifestanti e Guardia Nazionale avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago in occasione delle proteste alla Convention del Partito Democratico. All’epoca il paese era pieno di tensioni, dal movimento per i diritti civili alle proteste contro la guerra del Vietnam e la gente scendeva in strada per protestare. Il processo dei Chicago 7 racconta questo periodo, concentrandosi su una particolare protesta che si è trasformata in una rivolta e alla fine è sfociata in un violento scontro con la polizia. I disordini iniziarono in agosto, quando diverse migliaia di manifestanti cercarono di marciare verso l’Anfiteatro Internazionale, dove si stava tenendo la Convention del Partito Democratico, l’estate del 1968 era stata la più sanguinosa in Vietnam, più di 1.000 soldati americani morivano ogni mese.
Dopo queste manifestazioni un gran giurì federale incriminò otto dimostranti in risposta alla violenza: Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen), Jerry Rubin (Jeremy Strong), David Dellinger (John Carroll Lynch), Tom Hayden (Eddie Redmayne), Rennie Davis (Alex Sharp), John Froines (Danny Flaherty), Lee Weiner (Noah Robbins) e Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II). Nel cast troviamo anche Joseph Gordon Levitt nei panni del procuratore Richard Schultz, Michael Keaton che interpreta il procuratore generale Ramsey Clark e Mark Rylance come il difensore Willam Kunstler.
In questo dramma giudiziario nessuno, né i personaggi né gli spettatori, si aspettano che venga fatta giustizia, quando gli imputati prendono posto in aula il pubblico sa già che le accuse contro di loro sono ridicole, il risultato di una vendetta politica. La scena iniziale mostra il procuratore generale di Richard Nixon, John Mitchell, interpretato da John Doman, ordinare al procuratore Richard Schultz di ottenere condanne contro i manifestanti della Convention Nazionale Democratica del 1968, non importa a quale prezzo. Il dramma storico descrive come una famosa protesta pacifica si sia trasformata in una sanguinosa rivolta della polizia, immagini che risuonano tanto attuali dopo gli accadimenti degli ultimi mesi dove al centro delle polemiche c’è stata proprio la brutalità della polizia in America. Nonostante la sua ambientazione risalente agli anni ‘60, Il processo ai Chicago 7 porta un messaggio attuale e senza tempo: gli americani non possono sempre contare sui loro leader per perseguire nobili obiettivi come la verità e la libertà.
I Sette di Chicago erano un miscuglio di attivisti politici di vari gruppi che avevano partecipato alle proteste del 1968, tra cui il leader studentesco Tom Hayden, il pacifista radicale David Dellinger e gli anarchici “Yippies” Abbie Hoffman e Jerry Rubin, mentre Bobby Seale, un cofondatore del Black Panther Party, inizialmente indicato come l’ottavo imputato, fu in seguito separato dal processo perché non era presente durante i fatti. Molti di loro si conoscevano appena, se non solo di vista, ma nonostante queste furono accomunati come un unico gruppo e accusati dall’amministrazione Nixon di cospirazione e incitamento alla rivolta. Furono presentati al pubblico come un gruppo di delinquenti, tutti intenti a mancare di rispetto all’autorità e al loro paese.
Ne “Il processo ai Chicago 7” vengono alla luce tutte le manovre poco lecite per attribuire colpe agli imputati anche senza nessuna prova, accuse assurde supportate solo dalla fama di alcuni degli imputati. Hoffman e Rubin cercano in tutti i modi di dimostrare che quello che sta accadendo è un processo politico atto a punire solo per “dimostrare” che il potere è più forte della giustizia e lo fanno con metodi davvero non convenzionali.
Il film allontana un po’ la visione idilliaca del patriottismo americano con bandiere sventolanti, come siamo abituati a vedere, portando alla luce l’altra parte della medaglia: attraverso i flashback Sorkin si concentra su immagini più cupe, come i poliziotti di Chicago che mettono i loro distintivi in tasca prima di prepararsi a caricare i manifestanti o il sangue che scorre quando il migliore amico di Hayden, Rennie Davis, viene colpito alla testa senza preavviso. Sorkin è appassionato di flashback e nel film vola avanti e indietro nel tempo con una magistrale fluidità, riesaminando un po’ alla volta gli eventi delle proteste che hanno poi portato al processo in corso.
Nonostante la serietà degli eventi realmente accaduti e per nulla divertenti, il film riesce comunque a essere vivace con un ritmo incalzante, a tratti divertente, si crea una comunità fatta da diversi punti di vista e atteggiamenti, sono davvero interessanti le dinamiche che si creano tra lo spavaldo e comico Hoffman, in contrapposizione con il poetico e serio Hayden, ma non mancano i colpi di scena.
La forza del film sta proprio nell’infastidire lo spettatore per il modo in cui ogni interrogatorio finisce: con una battuta, la fine degli anni ’60 è stato un periodo duro e destabilizzante per il paese, non niente divertente per, Sorkin trasforma il tutto quasi in una commedia. Forse è proprio questo tocco delicato e mai sgradevole che lo rende un gran film, non si perde la percezione della serietà dell’argomento trattato nonostante ci siano davvero tante parti comiche, Chicago 7 è una resa particolarmente brillante della storia e pone saggiamente l’attenzione sui fallimenti dell’America, senza dimenticarsi di chi ha fatto del suo meglio per risolverli.
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