Dopo tanta attesa Il commissario Ricciardi, il tenebroso nobile cilentano nato dalla penna di Maurizio De Giovanni ha preso finalmente sembianze umane nel volto di Lino Guanciale ed è approdato sulla rete ammiraglia il 25 gennaio in prima serata su Rai 1.
Negli ultimi anni la Rai si è accaparrata gli adattamenti televisivi di quasi tutte le serie letterarie di De Giovanni. In questo periodo infatti va in onda anche Mina Settembre con Serena Rossi.
Il commissario Ricciardi è prodotta da Rai Fiction e Clemart per la regia di Alessandro D’Alatri. Quest’ultimo non è nuovo alle trasposizioni dai gialli dello scrittore napoletano poiché ha diretto anche la seconda stagione de I bastardi di Pizzofalcone. La regia di D’Alatri è stata la prima garanzia di qualità, poiché il regista ha saputo riportare in modo efficace e verosimile i personaggi sia di Pizzofalcone che della Napoli del 1931 dalla carta direttamente sullo schermo.
Ma procedendo con ordine, per coloro che non hanno mai letto la serie letteraria, siamo nella Napoli del Regime Fascista appunto, un’epoca che è tutto un preludio agli anni bui che sarebbero seguiti e Luigi Alfredo Ricciardi, di nobile famiglia cilentana, sembra un uomo senza tempo con il suo distacco glaciale che tuttavia nasconde un grande dolore. Il commissario Ricciardi, infatti, riesce a vedere i morti ma non tutti, solo quelli di morte violente e ne sente l’ultima frase, l’ultimo pensiero prima di spirare.
Passeggiare per le strade della città per lui non è dunque una cosa sempre facile poiché oltre ai vivi ci sono anche loro, i morti.
Il suo segreto è ciò che lo rende sempre ombroso e distaccato, poco incline ad aprirsi con gli altri, soprattutto con le donne. Ma ce n’è una in particolare che sembra placare il suo animo: Enrica Colombo, la giovane ventitrenne (già a rischio zitellaggio per i tempi) che ricama dietro la finestra di fronte casa de commissario e proprio come si faceva una volta i due si contemplano in quei pochi momenti di pace per lui.
Luigi Alfredo ha due amici fidati che pur non comprendendolo fino in fondo e non immaginando il suo segreto gli sono accanto, potremmo dire, come due angeli custodi: Raffaele Maione, brigadiere e padre di famiglia, marito dell’amata Lucia, anche lui con un dolore alle spalle, la morte del primogenito Luca, anch’egli poliziotto.
Il dottor Bruno Modo, sempre sorridente, ottimista, dichiaratamente antifascista, il medico dell’Ospedale dei Pellegrini è un bon viveur e veterano di guerra. Si sente sempre libero di esprimere la sua opinione e coglie ogni buona occasione per esprimere il suo disprezzo per il duce.
Il primo episodio andato in onda si rifà al primo romanzo della serie dal titolo omonimo Il senso del dolore. In questa avventura un importante tenore, Arnaldo Vezzi, viene trovato sgozzato nel suo camerino i primi sospetti ricadono sulla moglie Livia, bellissima donna di Roma che subito subisce il fascino del commissario.
A completare il quadro dei personaggi chiave della serie vi sono la tata Rosa (Nunzia Schiano), cilentana doc che ha cresciuto Luigi Alfredo e che adesso si preoccupa soprattutto che lui mangi bene anche se il ragazzo si trascura molto.
C’è poi Bambinella, un femminiello come lo si chiamava un tempo a Napoli, che sa tutto di tutti anche grazie alla fitta clientela di uomini napoletani di tutti i ceti sociali. Bambinella è la “spia” di Maione, il brigadiere la consulta tutte le volte che vi sono nodi complicati da sciogliere nelle indagini.
Tra i due vi sono sempre i siparietti comici che alleggeriscono la trama.
Di questa prima puntata che possiamo considerare una presentazione dell’arena e dei personaggi l’impressione in generale è quella di un lavoro ottimo, D’Alatri è riuscito a restituire le atmosfere della storia, sempre a cavallo tra la vita e la morte e anche il lavoro del casting in generale è stato davvero buono.
Nella descrizione su carta Ricciardi ha praticamente le stesse fattezze di Lino Guanciale che lo ha interpretato nel modo più vicino possibile alla figura del romanzo. Raffaele Maione è praticamente il personaggio letterario che ha preso vita e Antonio Milo ne veste i panni alla perfezione. Così tutti gli altri in generale, anche Nunzia Schiano per quanto sia comparsa davvero poco in questa prima puntata, ma anche per quei pochi secondi ci ha regalato come sempre un personaggio simpatico e reale. Ma la vera rivelazione è Bambinella, eseguita perfettamente e interpretata, seppure in questo episodio per una breve scena, da Adriano Falivene. Quest’ultimo è uno dei volti giovani del panorama napoletano che potremmo facilmente rivedere in futuro.
La delusione arriva solo in due cose, la prima è la scelta del volto di Livia Vezzi. Dispiace dirlo ma non rende come sul testo. E’ senz’altro vero che un personaggio su carta viene immaginato sempre a proprio piacimento dal lettore ma di solito le descrizioni di De Giovanni sono molto dettagliate e quella di Livia è una bellezza rara e diversa dal classico volto napoletano e questa napoletaneità che si legge nei tratti di Serena Iansiti stona con l’immagine che si ricorda nei romanzi. Molto verosimile invece l’interpretazione di Enrico Ianniello nei panni di Bruno Modo anche se lui è più giovane del personaggio che interpreta.
La seconda nota un po’ stonata ma non troppo è la quasi assenza di un altro personaggio fondamentale della serie: Napoli.
La città si percepisce nell’atmosfera e nei pochi scorci che vediamo tra piazza del Plebiscito e villa Pignatelli ma purtroppo, almeno in questa prima puntata si è visto poco di Napoli.
Ciò tuttavia non è da imputare alla produzione che ha sicuramente fatto un’ottima ricostruzione ma si sa che diverse scene sono state girate a Taranto e che altre sono state ricostruite in digitale perché è oggettivamente complicato restituire la Napoli degli anni Trenta. Non si può negare però che vi sia una mancanza forte. Bisognerà vedere nelle prossime puntate se Napoli verrà fuori un po’ di più.
Ultimo elemento, questa volta molto originale è la scelta di usare la voce di Pino Daniele nella canzone Maggio se ne va come apertura e chiusura di ogni episodio. Ciò, a mio avviso, non stona per niente poiché la voce del cantautore napoletano veste bene ogni contesto con un abito che ha un sapore tutto napoletano e forse la Napoli che non abbiamo visto completamente, l’abbiamo sentita nelle parole di Pino Daniele, nei sentimenti narrati che arrivano dalla pancia, gli stessi che possono muove tanto l’amore quanto la fame e come dice proprio Ricciardi: amore e fame sono spesso la causa di un delitto.
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