SanPa, la docu-serie sulla complessa comunità di San Patrignano
Tutti parlando di SanPa, la docu-serie sulla complessa comunità di San Patrignano e sul suo fondatore Vincenzo Muccioli in onda su Netflix dal 30 dicembre. Non ha fatto molto rumore al momento della sua uscita sulla piattaforma streaming nonostante la massiccia campagna pubblicitaria, il successo è arrivato quando le persone hanno iniziato a vederla e il cinguettio ha preso un possente piede tra le bacheche, i telefoni e, se non fossimo stati in zona rossa, sarebbe stato argomento di discussione al centro del tavolo perché è proprio questo il punto forza nella scelta stilistica adottata da Gianluca Neri, showrunner della serie, il racconto lascia grande spazio all’opinione pubblica, generando una spontanea ambiguità rispetto agli schieramenti e lasciando il pubblico al limite del turbamento perché nella sua complessità non nasconde nulla, grazie alla vastissima documentazione video e le interviste magistralmente riportate.
SanPa fornisce un’immagine chiara di come sono andate le vicende con foto, video e racconti, ma nonostante questo pare di essere costantemente sulle montagne russe per tutte le cinque puntate che la compongono, la frustrazione nasce dal rendersi conto di non riuscire a scegliere da che parte stare.
Per i più giovani questa miniserie è anche la scoperta di qualcosa di nuovo, che lascia sconvolti, perché a oggi non è più sulla bocca di tutti la comunità di San Patrignano come lo era negli anni ’80 e ‘90, oggi si sente risuonare da echi lontani questo nome e spesso non si sa davvero a cosa ricondurlo o a chi. Invece stiamo parlando di storia, uno spaccato fondamentale socio-politico del nostro Paese, San Patrignano è la più grande comunità in Europa di recupero di persone con dipendenze, fondata nel 1970 da Vincenzo Muccioli, una tra le figura più controverse nel panorama italiano, punto di riferimento per la comunità, quasi da essere considerato un Dio in terra, ma al contempo figura oscura e terrificante oltre che oggetto di processi e dibattiti legati alla violenza sia fisica che verbale da lui adottata e mai nascosta.
Infatti la domanda cruciale su cui si basa la serie è: “quanto male sei disposto a giustificare, per fare del bene?”
Perché sono proprio gli ex ospiti della struttura che parlano, sia quelli intervistati che quelli che hanno rilasciato dichiarazioni nei reperti video, quelle parole sono forti, l’amore ha lo stesso peso dell’odio, è facile cadere in preconcetti dovuti a un retaggio culturale a cui siamo abituati e quindi si tende a condannare i comportamenti di Muccioli, l’uso di catene, la segregazione, la violenza, se non fosse che pochissimi minuti dopo senti parlare i genitori di quei ragazzi che spontaneamente hanno scelto di entrare a San Patrignano, genitori disperati che raccontano una faccia di una medaglia terrificante, quella dentro le mura domestiche dove senti che la vita di tuo figlio sta per finire, oppure sta prendendo una piega dalla quale difficilmente potrà tornare indietro, imploranti in attesa per giorni all’ingresso della Comunità perché possano ritornare a vedere la luce e così alle parole, “Per me mio figlio Muccioli poteva anche crocifiggerlo, tanto dove stava meglio, a Rebibbia?” ti pietrifichi e pensi, una catena o un ceffone sono peggio della morte?
Ma la tua coscienza parla e ti dice che la violenza non è mai accettabile, in nessun caso, ma se quel caso fosse talmente disperato che forse quel male è “il male minore?”…
Inoltre in tutto questo c’è sullo stondo uno Stato che non si occupa della situazione dei tossici e quindi si riversa su Muccioli quella speranza di poter davvero salvare un’infinità di ragazzi per cui la vita sembra ormai essere perduta, ma a che prezzo? In SanPa non c’è solo bianco o nero ma un’infinità di tonalità di grigio tra luci e ombre e ognuno deve capire quante ne può accettare.
Con l’emotività si pensa ai giorni d’oggi, condannando le scelte fatte ai tempi, ma è importante fare una riflessione proprio sui tempi narrati, l’Italia di San Patrignano era quella del terrorismo rosso e delle bombe nere, dei rapimenti, degli omicidi, di Tangentopoli, della corruzione che hanno portato conseguenza disgraziata su una generazione di ragazzi traditi e abbandonati che hanno trovato la propria strada attraverso l’eroina come mezzo di distruzione personale e gettando le famiglie in un drammatico susseguirsi di disperazione senza via d’uscita. Ed è proprio questo percorso a senso unico che innalza Muccioli come salvatore degli emarginati, di quelli che nessuno vuole, diventando una delle figure pubbliche più influenti in Italia e di conseguenza attirando l’interesse di personalità importanti della politica e dell’imprenditoria e dello spettacolo, alcuni con lui fino alla morte, molti altri pronti a scaricarlo proprio all’inizio del suo declino tra processi, intrighi, suicidi, omicidi e una quantità difficilmente calcolabile di denaro.
Adesso a voi l’ardua sentenza se pensate di poterne avere una, perché come dice uno degli ex ospiti del centro, poi diventato uomo di fiducia dento la complessità della struttura, “Non ho mai sopportato quelli per cui San Patrignano era o tutto bene o tutto male”, delineando un sacrosanto fastidio per chi giudica senza aver mai vissuto sulla propria pelle la delicata linea che divide la vita dalla morte, San Patrignano era quella linea su cui migliaia di ragazzi hanno traballato come inesperti funamboli per anni, alcuni sono caduti, altri ce l’hanno fatta. “Quanto male sei disposto a giustificare, per fare del bene?”